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REVIEWSLE RECENSIONI
16/11/2017
Savak
Cut-Ups
Un buon secondo album per il quartetto newyorkese: dieci brani per diversi stili amalgamati in un suono piuttosto originale e con ampi margini di miglioramento.

Seconda prova per i Savak, supergruppo indie newyorkese formato da ex membri di varie formazioni statunitensi di nicchia come gli Edsel, i The Obits, gli Holy Fuck, i Nation of Ulysses e i The Cops, e sani portatori di un mix tra garage rock, psichedelia sixties, post punk (mai dai toni depressi) e vari altri spunti raccolti con naturalezza (e non usuale maestria) in una manciata di brani molto eterogenei tra di loro. Un risultato orgogliosamente ibrido che a tratti destabilizza l’ascoltatore ma che, nell’insieme, raggiunge il suo obiettivo e invoglia all’ascolto reiterato.

“Cut-ups” è poi un disco che presenta alcuni aspetti sorprendenti: il timbro di voce di Sohrab Habibion a tratti ricorda parecchio Michael Stipe e anche certi intrecci tra cantato e chitarre vanno in quella direzione che conosciamo tramite i primi REM, soprattutto nei brani più ballad del disco; l’uso moderatissimo e originale di fiati, giusto un paio di episodi che a maggior ragione ne fanno risaltare la presenza, come la tromba in “Like Gary Wilson Said” e il sax sguaiato in perfetto stile no wave di “I Don't Want To Be Defended”; qualche timido sintetizzatore che fa capolino in una ambiente tastieristico pressoché inesistente (ma, per quel poco, a dominio esclusivo di organi d’epoca) come il suono che lancia il ritornello di “Christo's Peers (Soon We'll Be Floating)”, sicuramente il brano più interessante di tutto l’album soprattutto per i suoi richiami al post punk inglese di fine anni 70.

Il resto si distingue per una sobria varietà stilistica, probabilmente indice di forte creatività e voglia di mettersi in gioco (l’album è uscito a poco più di un anno dalla pubblicazione del loro disco d’esordio, “Best Of Luck In Future Endeavors”). Il singolo “I Wanna Exist” e la traccia con cui si apre l’album, “Sick Of War”, sono brani dai ritmi veloci e con una forte matrice indie e psych-rock. Il blocco centrale dell’album, costituito da “Natural Light”, “They Are Bones” e “Loma Prieta”, porta al massimo la componente elettrica del disco spingendo sulle atmosfere più classiche dell’alternative-rock americano, mentre “Keys To The City” aggiunge all’insieme una componente di psichedelia anni ‘60.

E quando i Savak sembrano aver detto tutto, cambiano ancora direzione chiudendo il loro lavoro con “I Left America”, pieno di richiami alla più classica della musica a stelle e strisce, a tratti persino springsteeniana, senza mai mettere in secondo piano il loro personale suono graffiante.

Nel complesso, “Cut-ups” risulta indubbiamente un lavoro più che discreto, di certo un buon punto di partenza per superare la nicchia di ascoltatori a cui probabilmente i Savak sono abituati, almeno dalle nostre parti.