Jacob Slater, nonostante la giovane età (all’anagrafe sono ventiquattro), si porta già sulle spalle un bel bagaglio di esperienze. E’ stato membro dei Dead Pretties, band che ha vissuto una breve stagione frenetica, per poi dissolversi come neve al sole altrettanto rapidamente e, non da ultimo, ha interpretato il ruolo di Paul Cook dei Sex Pistols nella recente serie tv Pistol.
Oggi, tutta la sua rapida, ma intensa storia musicale viene convogliata nel progetto Wunderhorse, che suona più come il lavoro di un musicista esperto e provato dalla vita che come l’esordio esuberante di un rocker di vent’anni.
Cub è un album concepito da uno che, tra l’altro, conosce a menadito la storia degli anni ’90, e nessuno avrebbe qualcosa da obbiettare se presentassimo il disco come un’opera misconosciuta nata proprio in quel decennio.
La scaletta si apre in modo irrequieto con "Butterflies", uno scintillante shoegaze che si perde presto nella risacca limacciosa di un grunge dal sentore nirvaniano, e si coglie subito come gli anni ’90 siano qualcosa in più di una semplice fonte d’ispirazione. È quel decennio a cui il disco deve di più, dagli arpeggi chitarristici di "Poppy" alla dolcezza di "Mantis", che riporta alla mente i Pixies, dalla bellissima "Atlantis", suonata con l’effige di Elliott Smith ricamata sul cuore, alla saltellante e orecchiabile "Leader of the Pack", che chiama in causa gli Suede, e a "The Girl Behind The Glass", che sfodera chitarre alla Ash e un ritornello, tanto famigliare quanto irresistibile.
Slater si confessa a cuore aperto, tuffandosi a capofitto in un mare oscuro di profondità emotiva, analizzando retrospettivamente i fatti della sua vita, i traumi persistenti, le amicizie unilaterali, i tradimenti, le esperienze di sesso, attirando l’ascoltatore nella trappola di un suono dagli accenti americani e dall’anima inquieta, alimentato da sacrosanta rabbia ("Teal" e "Epilogue"). E finisce per risultare sincero e appassionato, oltre a dimostrare quella maturità espressiva che la militanza nei Dead Pretties lasciava solo intuire.
Cub è un esordio vivo e vibrante, forse un po’ risaputo nel songwriting e nei suoi continui riferimenti alla storia musicale degli anni ’90, eppure assolutamente piacevole nel suo svolgimento elettrico e nel suo dispiegare melodie sornione e accattivanti. Un ottimo inizio di carriera per un futuro che potrebbe riservare molte sorprese.