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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
27/01/2020
David Crosby
Croz
David Crosby torna sulle scene nel 2014 con un nuovo disco, a distanza di ben vent'anni dal precedente, Thousand Roads

In copertina David Crosby guarda lontano, verso la luce. E' lo sguardo fiero di chi, nonostante tutto (la dipendenza dalle droghe e dall'alcol, il trapianto di fegato, la vita travagliata), è ancora in piedi, con dignità e orgoglio. E' lo sguardo di chi è consapevole che il suo tempo non è trascorso invano, e che se anche il suo contributo alla storia della musica si fosse limitato alla carriera solista (al netto quindi delle leggendarie militanze nei Byrds e nei CS&N), avrebbe comunque lasciato ai posteri un disco (anzi, il disco) come If I Could Only Remember My Name, baluardo poetico, psichedelico e visionario della grande stagione californiana.

Nel 2014, a distanza di ben vent'anni dalla sua ultima fatica solista del 1993, Thousand Roads Crosby torna a incidere un nuovo album, e quello sguardo fiero non solo è il racconto di una vita vissuta sempre in prima linea, nel bene e nel male, ma è anche l'anteprima fedele di ciò che è contenuto in queste undici canzoni (tanti sono i brani che compongono la scaletta di Croz) che sanno ancora stupire ed emozionare, quando forse ormai più nessuno se lo sarebbe aspettato.

Sarebbe però ingeneroso verso Crosby, nonché fuorviante verso il lettore, paragonare il nuovo disco alle grandi opere del passato. Negli anni '60 e '70, la meglio gioventù americana voleva cambiare il mondo, pervasa da quel surplus creativo che nasceva dalla possibilità di riempire immensi spazi ancora vuoti, di sperimentare, di rielaborare in nuovi suoni gli stimoli infiniti che arrivavano dalla militanza politica e antimilitarista, dalle droghe come strumento di illuminazione, dai costumi sessuali che si facevano sempre più liberi e disinibiti. Croz è invece lontano anni luce da quell'epopea che ha riempito i libri di scuola, è semmai l'opera di un artista che ha vissuto in prima persona quegli anni magici e ora, di nuovo, guarda avanti, senza rimpianti, cercando un nuovo stile per raccontarsi.

Il mondo è cambiato, Crosby è cambiato: riproporsi nello stesso identico modo sarebbe stato anacronistico, addirittura grottesco. Ecco, allora, che in Croz il vecchio David utilizza gli strumenti che sono consoni alla sua età (ai tempi dell’uscita del disco erano 72), tiene lontano i suoni dal cuore di Laurel Canyon, optando invece per un cantautorato raffinato e dal sapore vagamente jazzy; sostituisce la psichedelia, gli impeti rock e l'audacia strumentale, con uno stile più colloquiale e malinconico, grazie al quale cesella con perizia artigianale una serie di ballate intense, riflessive, equilibrate. Canta e suona magnificamente, David, coadiuvato dal figlio James Raymond (autore di alcuni dei brani del disco) e da un gruppo di amici che non si risparmiano per dar lustro a questo capitolo di una discografia a dir poco leggendaria.

Così, la chitarra scintillante di Mark Knopfler accarezza la deliziosa What's Broken, posta in apertura del disco, mentre Wynton Marsalis regala la sua tromba alla conclusiva Find A Heart, il brano più jazz e strutturalmente complesso dell'album. In mezzo, solo ottime canzoni che, nonostante l'omogeneità degli arrangiamenti che fa da collante alla scaletta, spaziano con eclettismo fra vari generi.

Cito per tutte l'ariosa Radio, così smaccatamente melodica, Morning Falling, intensa ballata dai contenuti antimilitaristi, e il rock in punta di plettro della superlativa Set That Baggage Down, l'unico brano legato a doppio filo con gli anni d'oro dei CS&N. Insomma, un filotto di canzoni fresche e coinvolgenti, che non delusero le aspettative dei vecchi fans e di tutti coloro che amano la musica di qualità. A dimostrazione che Crosby, a questi livelli di ispirazione, non ha alcun passato da rimpiangere ma può volgere tranquillamente lo sguardo al futuro, con fierezza e orgoglio. Cosa che, poi, ha continuato a fare con altri grandi dischi. Ma questa è un’altra storia.


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