Si chiamano Country Westerns e arrivano da Nashville; quindi, fare due più due, è un attimo. Eppure, bastano pochi secondi della prima canzone in scaletta per capire che in questo disco d’esordio di country e di Nashville non si vedere l’ombra. Loro sono, invece, un grintosissimo trio rock composto dal cantante, songwriter e chitarrista Joseph Plunket (già membro della band The Weight), dal batterista Brian Kotzur (che ha all’attivo una militanza nei Silver Jews del povero David Berman), e dalla violinista e bassista Sabrina Rush.
L’album, uscito per la Fat Possum Records (l’etichetta di Courtney Marie Andrews, Modest Mouse, X, etc), è stato registrato tra Nashville e New York e prodotto da Matt Sweeney, che ha già collaborato con Iggy Pop, Queens Of The Stone Age e Jake Bugg, per citarne alcuni.
Come dicevamo, siamo lontani anni luce dal genere che il nome della band potrebbe evocare: in scaletta, infatti, ci sono undici canzoni di robusto rock americano, suonate con urgenza quasi punk (il minutaggio di ogni singolo brano si attesta sui tre minuti) e con quella immediatezza e freschezza che spesso solo una scarna strumentazione riesce a trasmettere (in qualche canzone si aggiunge una seconda chitarra, elettrica o acustica).
Un disco tirato, diretto, senza pause e senza inutili fronzoli, i cui riferimenti stilistici sono abbastanza evidenti. In primo luogo i Gaslight Anthem, a cagione di una certa somiglianza della voce roca, ispida e scorbutica di Joseph Plunket con quella di Brian Fallon, e del tiro ruvido e grezzo dei brani (It’s Not Easy, I’m Not Ready). Lo spettro dei rimandi, tuttavia, può ulteriormente ampliarsi ed è un attimo tirare in ballo band come i Lucero, gli Hold Steady e, perché no, i Dream Syndicate di Steve Wynn.
Non c’è nulla di sostanzialmente nuovo in questo esordio e probabilmente manca la canzone che svetta, il singolo trainante il disco. Tuttavia, avercene di album così: graffiante, sincero, suonato in modo semplice ma estremamente efficace e capace di farci far la pace con un genere, il rock, che oggi manca spesso di quell’essenzialità e di quell’urgenza che invece dovrebbero sempre caratterizzarne l’essenza.