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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
Cosmic interception
Von Lmo
1994  (Variant Records)
PROGRESSIVE / KRAUTROCK POST-PUNK JAZZ NOISE / GARAGE / INDUSTRIAL
all RE-LOUDD
12/10/2017
Von Lmo
Cosmic interception
Personaggio poco conosciuto nelle sue reincarnazioni più eccentriche, rimane ancora da valutare nella sua interezza di compositore; queste intercettazioni, più sanguigne che cosmiche in verità, sono il biglietto da visita più eclatante.
di Vlad Tepes

Iperattivo sin dagli anni Settanta il paisà Frankie Cavallo (New York, classe 1951), già batterista prodigio, ha incendiato e bruciato innumerevoli palcoscenici e formazioni (Funeral Of Art, Pump, Kongress, Red Transistor, Why You Murder Me, Avant Duel col fido Ruggins) suonando bizzarrie d’avanguardia e psichedelia assortita (sessioni per chitarre distorte, improvvisazioni… c’è pane per gli storici e i curiosi); nel 1978, ribattezzatosi Von Lmo, diviene, col gruppo omonimo[1], una delle attrazione del Max’s Kansas City assieme ai grandi nomi della new wave come Talking Heads e Patti Smith.

Affogato il club dei debiti (Cavallo si esibisce nello spettacolo d’addio), Von Lmo registra il primo lavoro, Future Language, per poi abbandonarsi ad un totale sfogo autodistruttivo e scomparire per un decennio. Riavutosi, e per nulla cambiato, regalò alle platee questo Cosmic Interception, nove pezzi “super space-age heavymetal dance rock” (ipse dixit), rielaborazioni di precedente materiale degli anni Ottanta. In realtà la definizione, al netto d’un indubitabile esibizionismo del Nostro, non è inaccurata: si tratta effettivamente di una serie di rock ‘n’ roll coinvolgenti per l’intrinseca ballabilità e per l’interpretazione da roaring bluesman di Cavallo, ma, allo stesso tempo, imbevuti della sensibilità no wave di New York, che agisce da moderno filtro sulla tradizione grazie alla ritmica martellante e al magnifico sassofono del compare Juno Saturn.

Si comincia e si finisce con i due pezzi eponimi contrassegnati dal contagioso ritornello cibernetico “We transmit, you intercept” e da assoli hendrixiani in background; nel mezzo, altri episodi esemplari, “Radio World”, “Shake Rattle and Roll”, “This Is Pop Rock”, “Leave Your Body” e l’inno “Be Yourself”: lo schema immortale di Bill Haley, velocizzato oltremisura, è ruggito con irruenza canagliesca e quasi punk e aggiornato dalle percussioni ossessive (ma sempre sotto controllo, anche nei momenti ipercinetici), dagli instancabili arabeschi si Kross alla chitarra e dalle punteggiature free jazz di Saturn, vero fattore straniante dell’opera che, oltre a iniettare nuova linfa al vecchio corpo rockabilly, lo depura da trite empatie nostalgiche.

Personaggio poco conosciuto nelle sue reincarnazioni più eccentriche, rimane ancora da valutare nella sua interezza di compositore; queste intercettazioni, più sanguigne che cosmiche in verità, sono il biglietto da visita più eclatante.

 

[1] Un gruppo di eccellenti strumentisti, alcuni amici di vecchia data di Cavallo: Mike Kross, chitarra; Craig Coffin, basso; Juno Saturn, sassofono; Otto von Ruggins, tastiere, Bobby Ryan, batteria.