E’ vero, i geni sono altri. Per Don Winslow, però, viene spontaneo usare quanto meno il termine di fenomeno. Si, perché non può essere che un fenomeno uno scrittore che in poco più di dieci anni ha sfornato undici bellissimi romanzi, di cui almeno quattro capolavori assoluti di genere (L’Inverno Di Frankie Machine, Il Potere Del Cane, Il Cartello, Le Belve); ed è ancora più fenomenale il fatto che, dopo aver partorito un romanzo epocale quale era Il Cartello, a distanza di soli due anni, Winslow riesca a imbastire un’opera altrettanto straordinaria come è quest’ultimo Corruzione (nel 2016, tra l’altro, ha scritto anche Germany, che in Italia non è stato ancora pubblicato). Livello ancora altissimo, dunque, per un romanziere che sposta il baricentro della narrazione dal Messico dei cartelli a una New York, livida e violenta, in cui tutti sono corrotti, polizia e politica in primis, e i buoni lottano con le unghie per sopravvivere. Le peculiarità della scrittura di Winslow ormai sono note. In primis, lo scrittore newyorkese non si limita solo a scrivere un libro, ma veste anche i panni di “regista”. In tal senso, non è del tutto peregrino un parallelo fra la prosa di Winslow e il cinema di Scorsese, uno che non si limita solo a girare un film, ma è soprattutto un grande romanziere. In entrambi, le due forme d’arte si confondono, producendo un risultato artistico che è al contempo narrazione e visione. Corruzione, come era stato per Il Cartello, è, quindi, soprattutto una pellicola romanzata, e per tutta la durata della lettura, la rielaborazione della nostra fantasia diviene di un realismo totalizzante. Il lettore non immagina New York, è a New York: cammina per le strade, sente il calore dell’asfalto, ne tocca con mano il caos, ne percepisce la violenza. I protagonisti, quindi, non sono figure che vivono nella caducità di una fugace immagine, ma paiono incredibilmente vividi, si materializzano al ritmo delle dita che sfogliano le pagine, e vengono inquadrati da una cinepresa narrativa che predilige la frenesia del montaggio alternato, ma, talvolta, è capace anche di creare destabilizzanti ralenti, che mostrano la brutalità della violenza come faceva il cinema epico di Sam Peckinpah. Un ritmo feroce, un susseguirsi di colpi di scena e un protagonista, Denny Malone, destinato a salire sul podio dei gradi personaggi creati da Winslow al pari di Art Keller e Frankie Machine. Personaggi tratteggiati in modo asciutto, essenziale, eppure mai semplificato, che si vestono di una manicheismo spurio, nel quale convivono (e confliggono) il male e il bene assoluto, quali moti dell’anima fra loro inscindibili. Proprio come in Denny Malone, poliziotto violento e corretto, che troverà il coraggio di assumersi le proprie responsabilità e la forza per riscattare una vita di scelta sbagliate. Imperdibile.