Lasciate ogni speranza, voi che entrate nell’universo Chat Pile. In un anno, infatti, in cui le sonorità estreme hanno forgiato alcuni dei dischi più interessanti ascoltati dal sottoscritto, questo Cool World, secondo album in studio pubblicato dalla band originaria di Oklahoma City, è probabilmente il più oscuro, disturbante e spigoloso. Solo due anni fa, il gruppo statunitense esordiva con God’s Country, un’opera che aveva lasciato a bocca aperta per essere riuscito a dare forma concreta al disagio esistenziale attraverso bordate elettriche esiziali, propagatrici di un marasma sonoro forgiato al crocevia della morte fra noise, metal e debosciato post punk.
Un disco che, per quanto di nicchia, aveva creato un vibrante hype intorno alla band e alimentato l’attesa per vedere se un secondo album fosse in grado di replicare quella devastazione emotiva. Era inevitabile che, visto il successo del primo capitolo di questo romanzo a tinte scurissime, il sophomore godesse di maggior attenzione da parte della Flenser (etichetta, sotto la cui egida era stato pubblicato anche l’esordio), che ha investito nel progetto, ponendo maggior cura alla produzione e al battage pubblicitario che ha accompagnato l’uscita dell’album.
Nessun imborghesimento, però, non temete: se il suono è stato rifinito (ma non addomesticato) Cool World è ancora una volta infettato di ferocia, ancora in grado di sgretolare i padiglioni auricolari, respingente ed estremo esattamente come il suo predecessore. Non si fanno prigionieri, insomma, e questa torbida miscela, che fonde gli accessi di un rock deviato di derivazione ninenties, farà male, anzi malissimo, come appare evidente nello sconquasso iniziale di "I Am a Dog", biglietto da visita insanguinato che riporta l’effigie Jesus Lizard, una delle primarie fonti d’ispirazione dei Chat Pile.
Come per Gone Dark degli Human Impact, band quasi gemella del gruppo dell’Oklahoma, lo sguardo di Raygun Busch e soci è focalizzato sulle miserie del mondo, sul male di vivere, su un’esistenza deprivata dalla speranza, che si affaccia su un futuro tetro e ineluttabile. Il suono è, quindi, inevitabilmente pesante, fangoso, sporco, quasi totalmente privo di trame melodiche (presenti nel post punk slabbrato di "Shame" o nell’incedere disperatamente arreso di "Milk Of Human Kindness"), spinto da groove ritmici ripetuti ossessivamente ("Frownland"), abrasi da riff di chitarra taglienti e asettici che rimandano ai Korn ("Funny Man") e portati al parossismo dalla prova vocale di Busch che ringhia, sbuffa, grida e agonizza in un deragliamento vocale che terrorizza e lascia impietriti ("The New World").
Se l’esordio era più compresso in un suono coerente fino a risultare quasi monolitico, in Cool World, invece, il linguaggio si fa più vario, riprendendo e rimasticando la lectio magistralis dei citati Jesus Lizard e Korn, ma anche di Harry Rollins, Big Black, Killing Joke, e, perché no, Fugazi, come esplicitato nel cruento hard core punk di "The New World".
Pur aggiungendo qualche novità rispetto all’esordio (la malinconia che ghermisce il post punk disperato di "Masc") e palesando una superiore maturità compositiva, il suono dei Chat Pile ha mantenuto intatta la propria aggressività, il proprio impeto furente, la propria forza iconoclasta. Un disco non per tutti, ma nuovamente in grado di accendere il fuoco della passione in quanti avevano creduto in questa straordinaria band fin dagli esordi.