Scrivere la recensione di un disco di Springsteen è un bellissimo esercizio di stile, totalmente inutile. Il Boss, non credo d’inventarmi nulla, è probabilmente (e lo scrivo con l’amaro in bocca) l’artista più divisivo di sempre. I fan di Springsteen, tra i quali ho l’onore di annoverarmi, lo amerebbero a prescindere, anche se pubblicasse, musicandola, una serie di rutti postprandiali. I detrattori, lo odiano, invece, a prescindere, a prescindere dalla storia, dai capolavori pubblicati, dalla debordante e incomparabile energia dei suoi live act, dalla militanza politica sempre coerente e mai ipocrita. Ci sarebbe, poi, anche una terza categoria, quella che dal punto di vista dello springsteeniano di ferro è la peggiore fra tutte, quel tertium datur che a ogni nuova uscita non perde occasione per affermare, con arrogante sicumera da grande intenditore: “Springsteen non fa più un disco decente da Nebraska” (ho citato Nebraska, ma potete sostituirlo con uno a caso dei suoi capolavori).
Sia prima che dopo l’uscita di Letter To You (e quel prima mi inquieta parecchio), ho letto cose da far accapponare la pelle: chi lo accusava di essere ormai vecchio e bollito e di non essere più capace di rilasciare un disco di rock and roll, chi lo accusava di essere ormai vecchio e bollito e quindi di lasciar perdere di fare dischi di rock’n’roll come questo, chi (beato lui e la sua lungimiranza), dopo l’ascolto di due canzoni, mollava la presa, sentenziando negativamente anche sul resto dell’album (ah, quel brutto vizio che abbiamo noi di ascoltare un cd quattro o cinque volte prima di esprimere un parere!).
In pochi hanno davvero affrontato l’ascolto con consapevolezza e onestà intellettuale, e uno di questi è il nostro Luca Franceschini, che ha espresso un’opinione ben motivata e argomentata, come dovrebbe fare chiunque abbia il desiderio di scrivere di musica. Ovviamente, con quell’opinione, io non sono d’accordo: io sono un fan esagitato, lo ammetto senza vergogna, e il boss per me è una fede, che riguarda la musica, ma non solo.
Quindi, queste poche righe in cui mi sto cimentando, non sono una recensione (non ne sarei capace) ma solo una breve riflessione che dedico ai tanti blood brothers, ai miei fratelli di sangue che amano Springsteen a prescindere. Persone a cui batte il cuore al mio stesso ritmo, che non devo convincere di nulla, e che, come me, guardano con affettuosa condiscendenza quelle piccole sbavature (che per altri sono errori marchiani) che si trovano, qui e là, nella scaletta di Letter To You. Persone per cui i settantun anni di Bruce restano un mero dato anagrafico e non una colpa da pena capitale (la prospettiva dei miei settantun anni, per dire, è quella di riuscire ad andare al cesso autonomamente, non certo di tenere quattro ore di concerto), persone a cui non c’è bisogno di spiegare che tutti invecchiano e che l’espressione artistica si modifica con il passare del tempo e con l’accumulo di esperienza, persone che sanno bene che Born To Run e Darkness non torneranno più, e che, forse, proprio questo è il bello della vita e il bello di quei dischi favolosi, traboccanti energia e giovinezza.
Un’altra era, un altro Springsteen. Che oggi è vecchio, certo, ma continua a declinare la propria passione con coraggio, cesellando un disco di emozionante e malinconico pop (Western Stars) o ravvivando il sacro fuoco del rock con lo slancio mai domo contenuto in una lettera. Una lettera scritta con l’inchiostro e col sangue, nostalgica e appassionata, che parla di amici, di fantasmi, di esperienze e di vita. Una lettera scritta con la foga di un rocker, ferito ma ancora in piedi, un rocker capace di prendersi pause, di tirare fuori dal cassetto tre capolavori dimenticati nel tempo, per raccontarci chi è stato e com’è ora colui che è stato, di levigare con quella voce, divenuta dolcissima, canzoni che sanno ancora travolgere ma anche concedersi il tempo di una riflessione o un pensiero.
Letter To You, forse in pochi lo hanno capito davvero, raggruma in sé un’intera carriera, è il filo rosso che lega non solo l’artista, ma soprattutto, l’uomo al suo vissuto, alle sue gioie e ai suoi rimpianti. Letter To You, semplicemente, è la fotografia del rock‘n‘roll, com’è ora e come è stato, è la fotografia di quella fiamma che talvolta trema sotto le folate del vento ma non si spegne, è esattamente come quell’uomo solo, in copertina, che riesce a trasmettere calore e fascino, nonostante la furia degli elementi. Questa lettera è pulviscolo di stelle e di eternità, è il senso di una carriera, sono parole preziose per chi ancora ci crede, per chi non si arrende, per chi guarda al proprio passato come una lezione fondamentale, e al futuro, con la speranza che, domani, il cuore batterà ancora di passione, a dispetto dell’età e degli acciacchi.
Se oggi lo Springsteen in copertina potesse parlare a quello di Born To Run, gli direbbe, semplicemente: “Non ho mai tradito i tuoi sogni, fratello”. E questo, credo, sia il senso della vita. E del Rock’n’Roll.