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REVIEWSLE RECENSIONI
Complete Mountain Almanac
Complete Mountain Almanac
2023  (Bella Union/[PIAS])
EXPERIMENTAL/AVANT-GARDE AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
8/10
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22/02/2023
Complete Mountain Almanac
Complete Mountain Almanac
Rebekka Karijord e Jessica Dessner, affiancate dai famosi fratelli di quest’ultima Aaron e Bryce (The National), confezionano Complete Mountain Almanac, un’opera (con lo stesso nome dell’ensemble) davvero originale per impasto sonoro e tematiche. Dodici canzoni per dodici mesi, un messaggio di speranza e un tentativo di comprendere il dolore al fine di trovare conforto anche nelle situazioni più difficili.

Complete Mountain Almanac affronta concetti profondi, è una celebrazione della natura, del corpo, dell’anima e utilizza sottili metafore per narrare la guarigione fisica e spirituale da una malattia. Si tratta di un album che ruota attorno al tempo e alla sua essenza, al suo grande potere di trasformazione delle umane vicissitudini: lo scorrere dell’anno con le sue stagioni sottende le ciclicità della vita, ove si declinano cambiamento, rinascita e rinnovamento. Ed è un lavoro che ha proprio mutato direzione durante il concepimento, a dimostrare il turbinio e l’evoluzione degli avvenimenti, ma allo stesso modo rappresenta un tentativo di cristallizzare quel particolare stato sempre in movimento.

Rebekka Karijord, affermata compositrice e cantante scandinava coi natali in Norvegia e ora di stanza in Svezia, comincia a scrivere una serie di musiche con in testa l’idea di convogliarle in un disco a tema sul cambiamento climatico. Raffinata autrice di colonne sonore, dal documentario I Am Greta al film La cena delle spie, coinvolge in questo progetto la pittrice, poetessa e danzatrice americana Jessica Dessner, da alcuni anni trasferitasi in Italia, conosciuta a Brooklyn e per qualche misterioso motivo mai dimenticata nonostante la lontananza e una vita incalzante, che tende ad annebbiare le belle sensazioni provate.

 

“Nel corso degli anni non ci sono stati molti contatti. Avevamo avuto un paio di incontri molto piacevoli nel 2006. Tenevo sempre il libro di Jessica sul mio scaffale e spesso tornavo su una sua poesia pensando: ‘Voglio scrivere delle melodie per questi versi’. Non sono mai riuscita a farlo, ma Jessica è stata la persona che ho chiamato subito quando ho iniziato a ideare questo progetto nel 2016, che non si intitolava ancora Complete Mountain Almanac. A volte ti trovi di fronte un luogo, una persona, una canzone o un libro e ti trasmettono qualcosa, magari non sai ancora che sia, ma la sensazione è molto forte. Ecco è stato così per me con lei e la sua poesia. Ho sentito profondamente nel mio animo che dovevamo incrociare di nuovo il nostro cammino”.

 

L’opera, dalla lunga gestazione, vira verso un lirismo più intimistico dopo che a Jessica viene diagnosticato un tumore al seno e Rebekka le ipotizza la possibilità di inserire riflessioni e versi legati al difficile momento attraversato. Nasce così il disco, in circostanze fino a poco prima imprevedibili, e le canzoni si sviluppano adattando le poesie -e parti di esse- pubblicate nel 2020 dalla Dessner nel libro Complete Mountain Almanac, il cui titolo diventa nome dell’album e del gruppo.

Ascoltare la voce e le composizioni sublimi della Karijord abbinate a tali parole, sentire il timido intreccio di chitarre acustiche dei gemelli Aaron e Bryce, talvolta accompagnato dagli “effetti elettronici minimali” del Maestro Jon Ekstrand, udire uno strepitio di percussioni e, sullo sfondo, gli archi leggiadri della Malmö Symphony Orchestra, altro non è che un’esperienza catartica, grazie alla capacità di tramutare in Arte il dolore e la sofferenza vissuti, scavando con cura nel terrore provocato dalla malattia e la morte, e rivelando l’enorme valore dell’immaginazione, della bellezza e della meraviglia. È sempre questo che si cerca quando si scrive musica: quel punto di connessione, quell'equilibrio perfetto tra il personale e l'universale.

 

L’intensità di "January" ricalca alla perfezione, con un’ambientazione musicale da favola, le peculiarità del periodo freddo ove si puntano le basi per una rinascita: è un’affascinante e struggente ballata acustica in crescendo, con cori e orchestrazioni a scalfire l’inizio minimale in classico territorio folk. Si respira il profumo freddo del nord riscaldato dalla bellissima voce di Rebekka, ricca di tonalità e vicina a tratti ad alcune interpretazioni di Máire Brennan e Beth Orton. "February" scorre fluida come acqua di ruscello ed è perfetta come singolo, con quel riff che sembra un loop carpito incrociando Mike Oldfield e Dave Matthews Band, ma si dipana poi in maniera originale, con una ritmica a imitare il ticchettio del tempo, e introduce nei testi l’ansia per la guarigione, il desiderio di essere accettati anche dopo di essa, “ È andata dal suo grande amore senza il suo corpo intatto. L’avrà presa tra le braccia per amare tutto ciò che era rimasto?”. "March", invece, è avvolta in un’atmosfera incantata, comincia il tempo del risveglio dopo il lungo, infinito inverno e tale atteggiamento prosegue nell’agitata "April", in cui è più evidente il momento d’incertezza che ciclicamente si vive nella vita, e di conseguenza nella malattia, riguardo a sentimenti che dovrebbero essere duraturi. “Sono fedele, non sono fedele”, risultano parole emblematiche, un dubbio che assale cantato con fermezza.  "April" (e generalizzando tutta l’opera) si avvicina molto a un soliloquio pubblico, anche se in fondo la conversazione è con se stessi, mentre si cerca di trovare luce e speranza per mezzo del dolore, e si evoca con veemenza il potere taumaturgico della Natura, Una passeggiata nel bosco, il nome di ogni pianta, quali sono resistenti e quali le più alte in pieno sole”. Piace molto la scelta di lasciare in questa composizione un minuto finale di sola orchestra d’archi (ottimamente arrangiata da Bryce Dessner e condotta da Jonas Nydesjö), similitudine di serenità ritrovata.

La luna che si specchia nell’acqua di un fiume e in parallelo la congiunzione di un corpo con la sua parte spirituale introducono altri temi ricorrenti del lavoro, ben presenti nel primo singolo pubblicato, "May", che documenta il disinvolto incontro tra sonorità differenti, fa dialogare il chamber folk con il country, grazie alla sperimentazione sulle possibilità del pop come territorio di ricerca e approdo. Il pianoforte si prende tutta la scena in "June", per poi immergersi e svanire di fronte a un esercito di violini, prima delle sfumature celtiche di "July", con chitarra, synth, voce e cori (Pauline Delassus e Maria Holmström) a ricamare una dolce melodia in stile ninna nanna per la pennichella pomeridiana in un giorno afoso. La seguente "August" è di grande spessore, richiama più di ogni altra la tradizione folk anglo-americana; è un viaggio con i primi America, quelli di A Horse With No Name, ben fissati nello specchietto retrovisore, mentre si svelano i Bon Iver all’orizzonte. Risulta veramente azzeccata l’idea di aggiungere un alito di fiati nelle retrovie, elegantemente suonati da Benjamin Lanz. Le liriche della “stagione/sessione estiva” sono perlopiù inquiete, incastonate in paesaggi sonori rassicuranti al fine di proseguire la dicotomia, la dialettica, e infine il colloquio tra gioia e sofferenza. Rimane l’ossessione della fisicità del corpo, visto come un’entità che si dimena alla ricerca del soffio dell’anima, di quel vento spirituale che si insinua nelle ossa e si invoca persino il mercurio e le sue oscillazioni in contesto astrologico e meteorologico, metafora di saliscendi emotivo.

"September" racchiude in sé quelle sensazioni che a volte si provano nei sogni, quando sembra realmente di essere sospesi su una nuvola, a osservare dall’alto gli accadimenti dell’esistenza. Eterea, intima, cadenzata da un lieve accompagnamento musicale sullo sfondo, ha in fronte un intreccio di voci che tengono il ritmo, prima del sopraggiungere delle chitarre.

 

“È stato davvero interessante scoprire le parti scelte da Rebekka per le canzoni attingendo dai miei scritti. Mi ha stupito molto vedere che, poiché le poesie sono molto più lunghe, provenissero da quei frammenti di scrittura più spontanei, costruiti sul momento”.

 

Un’intuizione molto efficace in tutto l’LP (a proposito, la bellissima copertina riporta all’epoca ove questo tipo di artwork assumeva ancora un valore significativo) è la creazione dei paesaggi sonori intorno ai mantra o alle frasi ripetute. Nella didascalica "October" si sente il ritornello "So the earth and the body", in "November", molto orecchiabile, si prosegue a citare la materialità del corpo, mentre la frase conclusiva di "December" è "Without responsibility", per un brano dalle tonalità tristi e dimesse, nel quale tuttavia si delinea una speranzosa accettazione del futuro. E questo è forse il senso più profondo dell’opera: il bisogno di scrivere un Almanacco per cercare dentro di sé i segnali di ciò che ci aspetta.

 

“Nascita, vecchiaia, malattia, morte, quattro stagioni, vivile tutte e potrai dire di aver vissuto.” (Estratto dalla traccia numero 12, "December")