Reduci dai fasti di Vae solis e dalle sessioni coi Painkiller di John Zorn e Bill Laswell (del solo Mick Harris), gli Scorn (Nick Bullen, voce; Justin Broadrick, chitarra; Mick Harris, batteria; tutti ex Napalm Death) registrano Colossus, altra pietra miliare di quel suono che sorge dall'ideologia malata e millenarista dei conterranei Throbbing Gristle e Public Image Limited.
Rispetto a quei due monumenti i Nostri possono essere considerati epigoni di genio: dai Throbbing essi traggono il senso fatale di disfacimento sociale e di un'umanità post-industriale condannata prima all'individualizzazione quindi alla scomparsa; dalla creatura di John Lydon l'andamento rallentato dub e post-punk e, soprattutto, le atmosfere disturbanti e malate che ricreano, musicalmente, l'anima scheletrita ed anaffettiva d'un sociopatico.
Questo panorama di immane devianza in cui l'uomo sciaguatta in preda agli ultimi barlumi di razionalità, è reso più cupo dal massiccio uso dei campionamenti, dalle inserzioni vocali, dalle pulsazioni metafisiche del basso, a suggerire o la reificazione totale o l'avvento di un mondo cibernetico dove l'empatia è dimenticata o ricreata chimicamente (in alcuni racconti di Philip Dick le macchine selezionano ed inducono i vari umori) Gli ultimi giorni dell'umanità di Karl Kraus sono ancora troppo caldi di passione per richiedere una tale colonna sonora: in quei tempi si odiava ed amava. Alcuni lungometraggi di Kiyoshi Kurosawa (The cure o, meglio, Pulse), Shinya Tsukamoto (i due Tetsuo), Cronenberg (Videodrome) colle loro location deindustrializzate e rugginose, la disperazione epidemica, le metamorfosi nella nuova carne, sono gli sfondi cinematografici di questi incubi insostenibili (Endless, Blackout, Crimson Seed).
Gli Scorn sono i cantori di un'ennesima distopia. Britannici poiché in terra americana, nessuno ha presagito con tale consapevolezza la fine. In loro, europei a tutto tondo, rivive l'etimo della parola Europa, erebu, terra del tramonto[1].
[1] Giuseppe Semerano, La favola dell'indoeuropeo, ppg. 81-82; accadico erebu, ovvero west, setting of the sun.