Russo di nascita, ma svedese di adozione sin dalla metà degli anni Novanta, Ivan “CoH” Pavlov (CoH, pare, sia cirillico per sonno o sogno) perviene con Seasons alla maturità dopo gli esordi legati alla techno e all’elettronica glitch ovvero alla musica sperimentale costruita su materiale sonoro derivato da errori digitali, rumori, falle di sistema.
Seasons si compone di quattro quadri perfetti, di eguale lunghezza (circa dieci minuti) e similmente strutturati: in ciascuno d’essi uno strumento classico si contrappone ad un elemento sonoro non tradizionale in modo da creare un apparente effetto di discrasia e straniamento.
In “The Colour Of Beauty – Summer Is Red”, secondo lo schema anzidetto, il violino tormentato risponde ad una serie di effetti elettronici; l’atmosfera è sospesa e ominosa, tipica di un meriggio canicolare.
Nella successiva “As Ripe As Autumn’s Tears” le registrazioni di una pioggia campestre si alternano ai rarefatti tocchi di un pianoforte, come se dai rami d’un albero (quello della copertina?) sgocciolassero lentissimi i depositi del rovescio autunnale.
In “Winter Brooding Underneath” il ronzio di un drone, sempre più circolare e minaccioso, sovrasta l’agitarsi d’un violoncello – il nascente, ma imperioso risveglio della vita entro il grembo della morta stagione.
“Springs Come Shooting – Make Love, Make War” vede le impetuose fluttuazioni sonore generate da un computer mutarsi in un assolo per chitarra elettrica che, infine, rovina su se stesso – in altre parole la continua ed irresistibile metamorfosi della primavera, quella che il poeta Dylan Thomas chiamava “the force that through the green fuse drives the flower”, la forza che per il verde stelo spinge il fiore.
Come i titoli dei brani fanno largamente intravedere, il primo livello evocativo (l’aspetto naturale), coesiste felicemente con una seconda lettura per cui i quattro momenti valgono anche come impressioni psicologiche di cui le stagioni sono correlativo.
Ascriviamo volentieri al musicista russo questo ulteriore merito.