Mentre in queste settimane si discute ancora più animosamente del solito di quanto la Disney sia il male del mondo a causa dell’acquisto da parte della casa di Topolino della rivale Fox e di una presunta (e negativa per molti fans) ingerenza artistica nell’ultimo Star Wars, è stato distribuito in Italia per il periodo natalizio l’ultima opera della Pixar, altra sua precedente acquisizione tra le più importanti e redditizie di sempre.
Tralasciando in questa sede approfondimenti sul tema “imprenditoriale” della Disney, mi preme qui invece raccontarvi di “Coco”, titolo appunto del nuovo film di animazione, ennesima prova di coraggio e di qualità a marchio Pixar che ritengo meriti di essere visto e amato anche dagli spettatori italiani. Coraggio perché ancora una volta gli argomenti scelti per essere raccontati visivamente e tematicamente non sono per nulla banali e ordinari; qualità perché la realizzazione, la narrazione e la visionarietà del lungometraggio sono ancora una volta di altissimo livello e di grande impatto.
In molti nel nostro paese, vedendo i trailer, sono rimasti perplessi e in parte impensieriti: un film animato ambientato in Messico che per la maggior parte del tempo vede i protagonisti agire in una sorta di “metropoli abitata da defunti”. Il protagonista Miguel è un bambino che si ribella alla sua famiglia perché vuole diventare un musicista nonostante proprio la musica sia stata cancellata dagli usi e costumi di tutti i suoi parenti a causa di un fatto antico e mai perdonato. Questa ribellione lo porterà magicamente nella “città dei morti” dove imparerà molte cose su di sé, i suoi desideri e la sua famiglia. Il film tra trovate divertenti, personaggi “tim-burtoniani” ma più leggeri e meno dark, insegnamenti sul “Dìa de Los Muertos”, creature fantasiose e caricaturali, inquadrature mirabolanti tra esibizioni tradizionali, citazioni cinematografiche e architetture scintillanti, mira con determinazione e capacità al cuore degli spettatori, esaminando una sana e tipica ribellione fanciullesca, l’importanza decisiva della memoria e il reale valore sull’essere una famiglia. La musica, senza essere invadente, attraversa e abbraccia le varie fasi del racconto, supportando i lati più intimi e controversi dei personaggi in scena, ma sono soprattutto le espressioni, le movenze, le decisioni e le parole dei protagonisti a risultare veramente convincenti ed emozionanti.
Molti gli spunti di riflessione nel film senza però intaccare mai il ritmo di quello che vuole essere un’opera di intrattenimento per adulti e piccini nella scia di tutti quei splendidi film che la Pixar ha continuamente realizzato dalla sua nascita (non tutti ma un numero decisamente considerevole ormai). In più “Coco” riesce ad essere un esempio di questa continuità qualitativa pur esplorando una cultura e un “modo di sentire” diverso da quelli a cui ci siamo abituati nei cartoons. Qui la diversità non è data dall’umanizzazione di animali, da periodi storici riadattati o realtà fantasy/futuriste ma dalla capacità da parte degli autori di rendere alcune caratteristiche peculiari e storiche di un popolo l’humus necessario su cui creare le mirabolanti e commuoventi avventure di Miguel e i suoi “compari”.
Inutile a questo punto aggiungere altre annotazioni: il consiglio è di andare in sala e farvi rapire dal film di animazione di Lee Unkrich, Adrian Molina. Non ve ne pentirete.