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REVIEWSLE RECENSIONI
03/05/2024
Maria Chiara Argirò
Closer
"Closer" è al momento il disco più maturo e compiuto di Maria Chiara Argirò, quello in cui le sue differenti anime si compenetrano con maggiore naturalezza e in cui mostra come si possono unire Pop, Jazz ed elettronica “suonata” senza doversi rifare a modelli prestabiliti.

Incide per Innovative Leisure, una delle etichette di riferimento della scena del Jazz contemporaneo così tanto in voga negli ultimi anni (è quella dei BADBADNOTGOOD, per intenderci, ma anche di Alex Maas) e giura che ci è arrivata lei in maniera piuttosto banale: ha spedito una mail con in allegato una versione demo di quello che sarebbe diventato Forest City, il disco del 2022 e loro, che di solito non ascoltano mai nulla che gli arrivi via mail, hanno contravvenuto alla regola non si sa per quale motivo, sono rimasti colpiti dal materiale e l’hanno fatta entrare nel loro roster.

Maria Chiara Argirò era già a Londra da diversi anni, si era trasferita per studiare Jazz, passione nata già da ragazzina, dopo una prima infatuazione per la musica classica. Nella capitale britannica è nel frattempo entrata nel giro dei These New Puritans, che ha accompagnato nel tour di Field of Reeds, suonando tastiere e pianoforte.

Il suo disco d’esordio, Hidden Seas, è uscito nel 2019, pochi mesi prima della pandemia, fattore che ha probabilmente contribuito a farlo dimenticare in fretta (in realtà in giro si trova anche un lavoro intitolato The Fall Dance ma non mi pare che lei ne abbia mai parlato, se non altro non di recente) e a spingere la sua autrice a portare avanti il suo cammino di ricerca musicale.

Se quel disco era infatti ancora influenzato dal Jazz (da cui però aveva già in qualche modo iniziato a staccarsi) con Forest City il quadro è decisamente cambiato, con un maggiore ossequio alla forma canzone (vedi l’inserimento stabile di parti cantate) e un avvicinamento marcato all’elettronica, pur se in una forma ibridata che ricordava da vicino i Radiohead del periodo Kid A/Amnesiac.

Noi l’abbiamo scoperta qui, assieme alla stragrande maggioranza della critica specializzata, inserendola (forse un po’ troppo sbrigativamente, visto quanto a lei stessa dia fastidio essere etichettata) in quell’ormai nutrito gruppo di artiste italiane che hanno fatto della ricerca e della sperimentazione la propria cifra stilistica (Daniela Pes e Marta Del Grandi, giusto per limitarci ai nomi più chiacchierati negli ultimi tempi).

 

Closer appare la naturale prosecuzione di questo percorso e segna un deciso passo avanti, una maggiore gamma di influenze, come la coloratissima copertina, quasi da notturno di Hopper, sembra simboleggiare.

Si tratta di un lavoro diviso più o meno equamente tra episodi cantati e strumentali, con questi ultimi che, rispetto al disco precedente, mostrano una spinta maggiore verso la dimensione club, tra beat ballabili e raffinate stratificazioni, un talento che già in precedenza l’aveva portata ad essere citata da Four Tet tra gli artisti meritevoli di ascolto.

Alcuni dei cantati mantengono un’influenza Radiohead ben riconoscibile, sia in certe parti vocali in loop (“September”), sia in un certo minimalismo del piano elettrico (“Time”); altrove si intravede però una nuova consapevolezza dell’orizzonte Pop, che la porta ad esempio ad aprire con “Light”, Synth in evidenza e un retrogusto notturno a la Chromatics, un tema di tastiera che costituisce un hook irresistibile, linee vocali avvolgenti e l’aggiunta di una tromba meravigliosa (Christos Stylianides) che allarga le atmosfere e allo stesso tempo getta un ponte col recente passato.

Anche la title track è un ulteriore segno della crescita artistico-compositiva dell’artista romana: il poliritmo della batteria di Riccardo Chiaberta, le chitarre arpeggiate un po’ stranianti, l’urgenza drammatica del ritornello, l’elegante confezione sonora, ne fanno uno degli episodi di spicco di tutto il lavoro, accanto ad una “Koala” che, tra la voce ipnotica, fiati che emergono da lontano, come circondati dalla nebbia, ed una seconda parte che assomiglia ad un Jazz spiritato, è un’autentica fucina di creatività, di cose che succedono.

Bella anche “Game”, una ballata lenta e narcotica, con una sezione ritmica che quando entra scombina un po’ i piani, mentre la conclusiva “Floating” vede l’utilizzo del vocoder e si adagia su un tappeto elettronico che sembra riprodurre le suggestioni evocate dal titolo, appena turbato da un gioco di Synth e batteria che ne sporca leggermente la superficie.

 

Closer è al momento il disco più maturo e compiuto di Maria Chiara Argirò, quello in cui le sue differenti anime si compenetrano con maggiore naturalezza, quello in cui mostra che si possono unire Pop, Jazz ed elettronica “suonata” senza apparire forzati ma anche (e qui sta a mio parere il suo punto di forza) senza dover a tutti i costi rifarsi ai modelli che vanno per la maggiore nella scena UK contemporanea.

L’augurio è che un lavoro come questo costituisca un incentivo a prendere sul serio la musica di casa nostra, soprattutto attraverso una partecipazione ai concerti che non si riduca al mero presenzialismo ai live dei nomi più in Hype, atteggiamento che a Milano sembra ormai divenuto dominante. Me lo auguro, appunto, ma non sono ottimista. Temo anzi che progetti come il suo o quello di Emma Tricca (per citarne un’altra che in Inghilterra lavora coi più grandi e da noi è quasi sconosciuta) rimarranno una piacevole realtà solo per pochi appassionati.

Nel frattempo, però, Closer è reale e conviene godercelo, sperando in qualche concerto dalle nostre parti (al momento è confermata una data l’17 maggio a Bologna assieme a Bonobo e Godblesscomputers’).