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REVIEWSLE RECENSIONI
18/09/2024
Simone Alessandrini
Circe
È possibile coniugare l’operetta e il jazz contemporaneo per poi rilegare il tutto (attraverso filamenti d’oro) con la cultura mitologica? Ebbene, l’artista e sassofonista Simone Alessandrini e i suoi dodici elementi, con il suo nuovo album Circe, è riuscito in questa magnifica impresa.

Con Circe si giunge al terzo e ultimo capitolo della trilogia Storytellers, iniziata con l’omonimo Storytellers (2017), dove Alessandrini aveva rievocato alcuni personaggi tra mito e storia sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale, e Mania Hotel (2021) dedicato al tema della follia.

In quest’ultimo lavoro entra in gioco la mitologia greca e ci troviamo alla presenza di Circe (magicamente interpretata da Laura Giavon) e Ulisse, che rivive nell’anima di Alessandrini stesso. A fare da cornice all’incantesimo, dodici elementi con un duplice ruolo: da un lato musicisti, dall’altro elementi che aggiungono valore all’opera tramutandosi loro stessi in animali e manifestando così i sentimenti umani in musica.

 

Ma qual è stata la scintilla che ha permesso l’inizio del sortilegio? L’ispirazione è giunta tramite l’opera Circe di Giovan Battista Gelli (galeotta fu l’opera e chi la scrisse, direbbe il sommo poeta Dante), un libro poco noto, pubblicato per la prima volta a Firenze nel 1549.

Qui Gelli, riprendendo il celebre episodio dell’Odissea, crea un’opportunità letteraria: immagina che Ulisse ottenga da Circe (dea-maga che abitava nell’isola di Eea, che leggenda narra trasformasse gli uomini in animali: cani, maiali, ma non solo, a seconda della propria natura umana) la possibilità di conversare con il suo equipaggio, trasformatosi in animali dalla maga. Loro però non ci pensano affatto a riprendere le loro fattezze umane, perché grazie a questa condizione percepiscono la superiorità etica degli animali rispetto alle debolezze che contraddistinguono l’esistenza umana. Un’idea niente male per un concept album.

 

Prende così forma un’operetta dal sound Jazz contemporaneo, ma che veste un andamento ciclico e tribale, dove il canto è l’unico veicolo narrativo per raccontare conflitti, brame e sublimazioni del genere umano.

Apre il sipario “Preludio”, un canto evocativo che diviene un’esortazione a credere nella magia di ciò che non riusciamo a vedere né toccare ma solo a percepire interiormente, cui segue “Circe”, dove la voce e l’interpretazione di Laura Giavon incanta e incarna sentimenti di natura selvaggia: una danza che squarcia i veli del superficiale per arrivare al profondo dell’inconscio.

Continuando il viaggio si incontrano brani come: “La lepre e lo specchio” e “Il passaggio. Serpe”, caratterizzati da sezioni minimali e improvvisazioni che si scontrano con una scrittura fitta e rigorosa. In “Cavallo e mal d’amore” assistiamo invece a tutti gli stadi della malattia senza perdere mai di vista il ritmo di un cuore vivo e pulsante che, nonostante tutto, continuerà a vivere tra mille sfumature e armonie distorte di una psiche ancora da scoprire.

L’intento è quello di donare più dimensioni alla sceneggiatura musicale e rappresentare nel profondo gli stati d’animo dei vari animali mentre essi stessi ci narrano (con uno speciale linguaggio) i vari malesseri del genere umano.

 

Il viaggio termina con “Epilogo Ulisse”, dove il rammarico e la nostalgia si danno la mano ricordando sensazioni ormai lontane, come quella di una fiamma (un’anima) che arriva fino al cielo, illuminando intere foreste vergini di pensieri ancora inesplorati. Resta una speranza travestita da domanda: e se tornassero?

A conclusione di un così ricco itinerario, l’animo non può che ricordarsi una volta di più quanto sia importante non smettere mai di dialogare e di rapportarsi con la propria parte bestiale: togliamole la maschera che la nasconde e diamole un volto certo, l’unione ultraterrena ci sta aspettando.

 

In tutti gli stati degli uomini, sono molti di più gli affanni e le miserie, che i contenti e le felicità” (Circe, Giovan Battista Gelli)