Sono passati due anni da Child Of The State, l’esordio di questo ragazzo di Seattle, oggi trentasettenne, con alle spalle un vita difficile, fatta di dolore e di abbandono, ma anche segnata da quella perseveranza che, concerto dopo concerto e canzone dopo canzone, l’ha portato alla ribalta, prima con il citato riuscitissimo esordio, e oggi con questo secondo capitolo, che conferma quanto di buono aveva già in precedenza dimostrato.
Chronicles Of The Kid è un disco anche questo sofferto, attraverso il quale il chitarrista racconta se stesso, la sua lotta per emergere, per trovare una propria identità musicale ed emotiva, per raccontare i cambiamenti che l’hanno portato oggi ad essere un musicista apprezzato e, soprattutto, un uomo più consapevole.
Jones ha affinato lo stile, pur mantenendo fede al proprio credo musicale, le cui fondamenta sono piantate saldamente nel territorio di Seattle, e continuando ad accostare e far convivere suoni diversi tra loro, dall’hard rock al grunge, dal blues al soul, in un unicum declinato con passione e potenza, e in modo frontale e diretto. Un suono caratterizzato da grinta e sudore, da un grande senso per il groove, e da quei riff veraci che rendono l’impatto emotivo immediato, creando un perfetto equilibrio tra approccio heavy e un cuore traboccante di soul.
L’apertura è lasciata a "Strawman", un brano che mette subito le cose in chiaro: riff aggressivo, sezione ritmica martellante, assoli distribuiti con gusto e senza inutili sbrodolamenti. Come si diceva, però, il disco possiede un mood sofferto, che porta Jones a rallentare il passo come in "Blood In The Water", un brano in crescendo, che parte morbido e riflessivo, per poi irruvidirsi, e che racconta il dramma personale di Jones, segnato dall’abbandono dei genitori subito dopo la nascita del chitarrista. Una canzone emotivamente assassina, con uno splendido e viscerale lavoro alla chitarra.
Un altro brano vibrante è "The Title", che corre rapido attraverso la forza propulsiva di un groove pesante, vigoroso e avvincente. Anche "Filthy" e "Get High" mostrano muscoli e cattiveria, sono marchiati, sigillati e consegnati all’ascolto come ci si aspetterebbe dal Jones più heavy.
"Otherside" si sviluppa, invece, su una ritmica trap e una melodia abbastanza prevedibile, ma l’esplosione elettrica nella seconda parte salva il brano più debole del lotto dall’anonimato. Un brano, questo, poco riuscito, ma subito bilanciato dalla ferocia rabbiosa di "My America", canzone dalla forte connotazione politica, che evoca l’assassinio di George Floyd, e contiene uno degli assoli più incisivi del disco.
Se è vero che il secondo album è il più difficile da realizzare, Ayron Jones riesce perfettamente nell’intento di bissare il buon lavoro fatto all’esordio, dando vita a un sophomore che sfreccia impunemente con una formula che ha acquisito ulteriore smalto. Chronicles Of The Kid condensa il meglio di un approccio musicale asciutto, vibrante e muscolare, e i groove trascinanti, le bordate heavy, l’intensità soul e le liriche appassionate spingono il disco verso una direzione di grande impatto.