Il 4 settembre del 2001 esce Toxicity, secondo album dei System Of A Down, e per Tankian e soci è la consacrazione universale, che li porta a conquistare ben otto dischi di platino. A diciannove anni dalla sua pubblicazione, Toxicity può essere considerato a buon diritto uno dei grandi classici della "letteratura " rock (metal) del nuovo millennio.
Nonostante il secondo album dei SOAD appartenga per filiazione al movimento Nu Metal, di cui rappresenta il vertice stilistico in condominio al primo, imprescindibile lavoro dei Korn, è vero anche che la freschezza creativa, le intuizioni compositive e l'immenso lavoro di raccordo fra diverse sonorità, partorito dal binomio Tankjan-Malakian, riuscirono a imporre all'attenzione del grande pubblico un'idea di musica capace di scardinare i paletti del genere e universalizzare il verbo metal.
Quattordici canzoni di breve-media durata (tutte sotto i quattro minuti a eccezione della conclusiva Aerials ) connotate da uno stile di straniante efficacia, riconoscibile per una dicotomia spesso convergente fra esplosioni di adrenalinica violenza e aperture melodiche di inaspettata malinconia. Un caleidoscopio sonoro, quindi, in cui convivono sotto lo stesso tetto, e in bizzarra simbiosi, le avanguardie estreme della new wave metal, improvvise derapate hip-hop, affascinanti suggestioni etniche in salsa armena (la coda strumentale della già citata Aerials) e strutture a incastro, votate a un gusto teatrale a metà fra l’assurdo e il grandguignol.
In questo quadro di debordante eclettismo (in cui mette mano in maniera efficace il geniale produttore Rick Rubin), dominano il colore rosso intenso del canto istrionico di Tankjan, la cui voce nasale e rutilante passa con inquietante semplicità dall'urlo belluino al falsetto dai toni melodrammatici, e il sinistro scintillio della chitarra tossica e demoniaca di Malakian.
Toxicity si sviluppa nell'arco di quarantacinque minuti che non lasciano spazio a riempitivi o passi falsi, denotando semmai una coesione qualitativa che permea ogni singola traccia del disco. Tra i tanti brani che meriterebbero una citazione, la centrale Chop Suey!, probabilmente il brano più famoso della band, è la pietra angolare per comprendere quanto la musica dei SOAD sia difficilmente etichettabile, coacervo sferragliante di opposte intuizioni, punto di collisione fra inconciliabili moti dell’anima.
Da un lato, la matrice hip hop, destrutturata e schizoide e il fragore assordante di una rabbia belluina, dall’altro, una linea melodica nitida e un ritornello di inesplicabile lirismo. Un pezzo strutturato mirabilmente, con tre chitarre (una acustica e due elettriche) che aprono sostenendo un crescendo ritmico vertiginoso, le bordate metal rap, la sospensione melodica, il ritornello sofferto, i repentini cambi tempo, il continuo alternarsi fra noise e melodia, un lick pianoforte che, nel finale, compare in sottofondo a rimarcare la dolente epica del brano.
Chop Suey! non è una ballata, eppure riesce a suggerire malinconia e tristezza, merito anche di liriche incentrate sul tema della morte e del suicidio. Il chitarrista Daron Malakian in un’intervista ebbe modo di spiegare: “La canzone parla di come siamo considerati a seconda del modo in cui muoriamo…tutti dobbiamo morire, ma se ora dovessi morire per abuso di droga, potrebbero dire che me lo sono meritato perché ho abusato di droghe pericolose”.
La canzone, originariamente, era intitolata "Self-Righteous Suicide", ma la Columbia Records costrinse la band a cambiarla per evitare polemiche. Il titolo ufficiale è quindi il risultato di un gioco di parole basato sull’assonanza: da Self Right Suicide a Self-Right(Chop Suey)cide. Il consueto ricorso all’assurdo (Tankjan in tal senso è un maestro) per mitigare la provocazione (ma se fate attenzione nell’introduzione al brano la parola suicide viene comunque pronunciata, così come nel testo).
Un’ultima curiosità: per accentuare la carica mistica del brano, nel testo compaiono anche due passaggi tratti dal Vangelo: «Father, into your hands I commend my spirit» e «Father, why have you forsaken me?». Le ultime parole di Gesù prima di morire sulla croce.