Il ritorno sulle scene dopo uno iato di dieci anni (scioltasi nel 2008, la band è tornata nel 2019 per un lungo tour europeo) suscitava parecchi dubbi sullo stato di forma dei Madrugada, soprattutto perché quella lunga pausa era stata causata dalla morte dell’amico e chitarrista Robert Buras, una delle menti pensanti del gruppo norvegese. Quando, ormai, sembrava chiaro ai più, che l’avventura iniziata nel 1999, con il meraviglioso Industrial Silence, fosse finita per sempre, il tour citato poc’anzi aveva riacceso le speranze dei fan, oggi concretizzatesi con la pubblicazione di questo Chimes At Midnight, prima pubblicazione dopo quattordici anni di silenzio.
Fin dalle cupe note di apertura della splendida "Nobody Loves You Like I Do", una cosa è immediatamente chiara: questo è il classico suono dei Madrugada, declinato al suo meglio. Una sensazione spiazzante, come se il tempo si fosse fermato per non usurare una musica che avevamo imparato ad amare tanto tempo fa: lo stesso romanticismo disperato, lo stesso sguardo malinconico, l'odore della notte, le improvvise scariche elettriche, una voce, quella di Sivert Hoyem, il cui timbro, a tratti, evoca quello di Eddie Vedder, che scava gallerie nel profondo del cuore, dove vivono indicibili inquietudini.
Non è però come tirar fuori dall’armadio un vecchio abito incelofanato e conservato con cura, non si sente l’odore della naftalina: la musica dei Madrugada è ancora assolutamente credibile, perfetta per rappresentare i tempi cupi che viviamo. Non è solo l’estetica vagamente depressa, quello strattonare il crepuscolo come naturale ambientazione per una musica profondamente esistenzialista. No, qui c’è soprattutto il desiderio e il coraggio di parlare d’amore, che è tutto quello che ci resta, la forza interiore da opporre a un mondo sull’orlo dell’abisso.
C’è un’atmosfera profondamente romantica che avvolge tutto il disco e che emerge prepotente in canzoni come "Call My Name", "Running From The Love Of Your Life" o nella conclusiva "Ecstasy", il cui apice emotivo risiede in quel verso struggente, che è al contempo speranza e resistenza, l’empito di un cuore che non smette mai di battere, nonostante tutto: "Spill it all to the one who'll love you, It is truth, it is hope, It is unbelievable. Carry on, carry on, 'Cause I'll keep riding by your side…".
Un’ora di musica che tocca le corde dello struggimento, certo, ma che è anche cesello di artigianale maestria, opera di una band (oltre a Hoyem ci sono Frode Jacobsen al basso, Jon Lauvland Pettersen alla batteria, e i chitarristi Cato Thomassen e Christer Knutsen) che non ha perso il tocco, che fa sua la locuzione “less is more”, ma sa anche quando intervenire gonfiando con abile misura le melodie.
A voler trovare un difetto, potremmo suggerire che un minutaggio inferiore avrebbe dato ulteriore efficacia a un filotto di canzoni prevalentemente ispirate. Ma quattordici anni di silenzio sono tanti, condensano emozioni e idee, espandono il desiderio di far breccia nella lunga afasia, di dire tutto ciò che è stato tenuto in serbo, come se vi fosse l’indifferibile necessità di svelare un segreto taciuto troppo a lungo. Il segreto di questo Chimes At Midnight è lo stesso che riserva una bottiglia di vino pregiato e lasciato invecchiare con amore: sprigiona sapori che ottundono i sensi, dando vita a un deliquio emotivo in cui il profumo inebria ed evoca. Dopo quattordici anni, pensavamo, probabilmente, di non aver più bisogno dei Madrugada, eppure, dopo aver messo nel lettore il disco, la sensazione è che queste canzoni siano indispensabili, imprescindibile nutrimento per l’anima e perfetta colonna sonora per soliloqui interiori con vista sul crepuscolo. Abbiamo aspettato tanto, ma ne è valsa la pena.