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REVIEWSLE RECENSIONI
07/07/2017
Samantha Fish
Chills & Fever
Chills & Fever suona come un divertito compendio di musica nera che la Fish recita con consapevolezza filologica e un piglio da rocker che sfocia in viscerali assoli di chitarra

Cresciuta sotto l’ala protettrice del chitarrista rock blues Mike Zito, suo mentore e produttore, Samantha Fish ha iniziato a calcare i palchi nel 2009, mettendo in piedi, insieme alle coetanee Cassie Taylor e Dani Wilde, il progetto Girls With Guitars. Anni importanti, questi, che hanno permesso alla chitarrista originaria di Kansas City di farsi conoscere come valente musicista e ottima cantante e di dare l’abbrivio a una carriera solista, iniziata nel 2011 con la pubblicazione dell’ottimo Runaways. In seguito, sono arrivati altri due dischi, l’ultimo dei quali, Wild Heart (2015), prodotto questa volta dall’ex Black Crowes, Luther Dickinson, ha fatto finire la Fish sui taccuini di molti critici, che hanno visto in lei la new sensation del movimento rock blues al femminile. Il nuovo Chills & Fever certifica ora il passaggio di Samantha dallo status “di giovane artista da tenere d’occhio con attenzione” a quello di musicista che ha finalmente dimostrato a tutti il proprio talento. Se il citato Wild Heart aveva segnato un passaggio a sonorità più marcatamente roots rock, discostandosi dai lavori precedenti marcati a fuoco da un’inclinazione naturale per il blues, questo full lenght segna un ennesimo scarto rispetto al passato: Memphis soul e Motown R&B, pur essendo sempre stati nelle corde della giovane chitarrista, qui diventano per la prima volta la portata principale del pranzo, facendo passare in secondo piano le sonorità a cui ci eravamo abituati. Registrato a Detroit (buon sangue non mente), con la collaborazione della garage band dei Detroit Cobras, Chills & Fever suona come un divertito compendio di musica nera che la Fish recita con consapevolezza filologica e un piglio da rocker che sfocia in viscerali assoli di chitarra. Si inizia con He Did It, ruggito r’n’b capace di fondere sonorità retrò (i coretti di contorno hanno radici lontane) coi fendenti di una chitarra garage e una voce che stende per potenza ed estensione. Un pezzo vibrante, a cui fanno da contraltare le sfumature jazzy e l’andamento sinuoso della title track, che strizza l’occhio a Amy Winehouse e riporta al mood del bel disco d‘esordio di Ina Forsam, uscito lo scorso anno. Quando la Fish, poi, si misura con la cover di Hello Stranger (l’originale è di Barbara Lewis e risale al 1963), dimostra di trovarsi a suo agio anche con più moderne ed eleganti sonorità nu soul. Sono tante, però, le frecce all’arco della Fish, che sa ipnotizzare col groove dinoccolato dello swamp blues di It’s You Voodoo Working, che infiocchetta una splendida melodia in Hurt’s All Gone, ammiccamento in chiave pop al songwriting dell’immensa Laura Nyro, o che spinge l’acceleratore a tavoletta nel funky fulminante di You Can’t Go. La lunga scaletta (sono ben quattordici le canzoni del lotto), è contornata però anche di altri episodi degni di nota: il sax iniziale di Either Way I Lose, ad esempio, suggerisce un omaggio al sound dei Morphine, in Never Gonna Cry si respira l’aria spensierata degli ingenui anni sessanta, Nearer To You è un ballatone tutto miele e liquerizia che illanguidisce il cuore, mentre la cover tutta slide del traditional Crow Jane porta il suo passo cadenzato dalle parti del North Mississippi. I’ll Come Running Over, plagio furbetto di Everybody Needs Somedody dei Blues Brothers, chiude con un’iniezione di giocosa energia un disco vario e divertente, che ci consegna, senza ombra di dubbio, la miglior versione possibile di Samantha Fish.