Tra la fine degli anni ’80 e la metà del decennio successivo, gli Skid Row hanno rappresentato una delle realtà più eccitanti della scena metal, conquistata grazie alla pubblicazione di tre album di altissimo livello, il primo, omonimo debutto del 1989 orientato verso l’hair metal, gli altri due, Slave To The Grind (1991) e Subhuman Race (1995) dal suono decisamente più duro. A capo della band, il frontman Sebastian Bach, ugola d’ora e perfetta incarnazione dello spirito selvaggio che qualche anno prima animava (e devastava) il Sunset Strip (quantunque la band fosse originaria del New Jersey).
Eccessi di alcol e droghe, visioni artistiche diverse e, soprattutto, l’avvento del grunge, che aveva oscurato gli Skid Row e tante altre band, il cui suono era diventato anacronistico, portarono all’allontanamento del cantante e al successivo scioglimento del gruppo, che tornò sulle scene solo otto anni dopo, ma senza lo stesso successo.
Bach non è certamente rimasto con le mani in mano, e oltre a pubblicare, con molta calma, a dire il vero, quattro album solisti, ha dato vita a una parallela carriera di attore, che lo ha visto calcare il palco di numerosi musical in quel di Broadway.
Dopo ben dieci anni dall’ultima pubblicazione (Give ‘Em Hell del 2014) Bach pubblica Child Within The Man (la copertina, non proprio accattivante, è del padre, il pittore David Bierk), contenente undici canzoni che raccontano il percorso verso la maturità e, in parte, della riconciliazione di Bach con il proprio passato. Non che l'ex cantante degli Skid Row abbia rimpianti o un acuto senso di nostalgia, ma l’album riflette sugli anni che passano e sul diventare vecchi, dimostrando quella consapevolezza (anche sociale) che era mancata negli anni d’oro della band, quando ogni scusa era buona scassarsi e scassare tutto. E quando Bach, bell’ultima traccia del disco, l’intensa power ballad "To Live Again", canta “Prova, volta pagina, lascia dietro di te gli errori stantii", il senso del tutto appare chiarissimo.
Child Within The Man, registrato negli studi Barbarosa, in Florida, con la complicità di guest star del calibro di John 5, Steve Stevens e Orianthi, non aggiunge niente di nuovo a quanto già conosciamo dell’espressione artistica del cantante. D’altra parte, dicono che se una cosa non è rotta, è inutile provare ad aggiustarla. Ed è questo l’adagio che Sebastian Bach ha adottato con la musica per tutta la sua carriera: anche qui, sfrutta i suoi punti di forza, il che significa che Child Within The Man non sorprende ma è assolutamente, dannatamente, rock. Insomma, c’è tutto quel che serve a un gran disco: riff tonitruanti, irresistibili hook e ovviamente, proprio quella voce lì. Che è più ispida e mostra qualche ruga, certo, ma che tiene ancora botta senza forzature e grazie alla maturità raggiunta da chi sa esattamente come giocarsela, scegliendo con cura le note alte che può ancora raggiungere.
Questa è musica che affonda le sue radici nella scena del Sunset Strip di fine anni '80, ma che riesce anche a indossare abiti più moderni e alternative, come in "About To Break" e "What Do I Got To Lose?", questa scritta in condominio con Myles Kennedy (Alter Bridge). Ciò che conta è che in scaletta non ci sono filler e tutto suona che è un piacere, grazie a brani potenti come "Vendetta", "Everybody Bleeds", "F.U." e "(Hold On) The Dream", che riportano alla luce gli anni d’oro degli Skid Row, evocando al contempo Motley Crue e Guns.
Dopo dieci anni dall’ultimo disco pubblicato, Sebastian Bach torna più in forma che mai, con un disco vibrante e senza sbavature, capace di ingenerare più di una lacrimuccia di nostalgia a quanti hanno amato gli Skid Row e hanno lasciato il cuore da qualche parte, laggiù nel rutilante Strip, un luogo in cui, per qualche anno, il rock‘n’roll non è mai stato così selvaggio.