Ascoltatevi la musica, godetevela e non rompete il cazzo a chi ha gusti diversi dai vostri. Posizione, questa, che sposo completamente e che, seppur in modo apodittico, metterebbe definitivamente fine a questa inutile ma tormentata querelle sulla supremazia di un genere su un altro o di un’epoca su un'altra. La polemica, si sa, è però linfa vitale per i social, zona franca in cui il pudore è andato a farsi benedire e i tuttologi di ‘sta ceppa si sentono sempre in dovere, spesso in modo maleducato e arrogante, di dire la loro e insultare.
Fatta questa doverosa premessa, ne faccio un’altra che riguarda il mio personalissimo punto di vista. Se c’è una cosa che mi manda in bestia è l’ortodossia di chi ritiene un genere superiore a un altro o, peggio ancora, sia convinto che di buona musica non se ne faccia più e tutto lo scibile necessario sia stipato entro i confini del secolo scorso. Un presa di posizione, questa, che nel migliore dei casi denota una certa pigrizia intellettuale e nel peggiore un’ignoranza cosmica. Di gran bei dischi, infatti, ne escono tutti gli anni e basterebbe semplicemente dare un’occhiata alle pubblicazioni di questa prima parte del 2019, per rendersi conto di quanta qualità è ancora in circolazione: Billie Eilish (pop, elettronica), Bruce Springsteen (rock), Rihannon Giddens (americana), i Fontaines Dc (post punk), i Black Pumas (soul), The Soft Cavalry (dream pop), The Raconteurs (classic rock), solo per citarne un pugno di diversa estrazione.
Un vero appassionato lo sa, perché è alla ricerca continua di nuovi dischi ed è divorato da un sacro fuoco che lo porta ad ascoltare il più possibile (non sia mai che ti perdi proprio il disco più bello dell’anno). E non è un caso che i meno appassionati, quelli ortodossi che si abbeverano a una sola fonte, siano anche i più arroganti e polemici, pronti subito a puntare il ditino contro i vecchi dinosauri che amano il rock o contro quelli che non capiscono nulla perché adorano il pop.
È anche evidente, però, che, per quanto spinto da una fame onnivora, non sia possibile ascoltare tutto. Magari, ci provi, ma non è obbiettivamente concepibile. Il tempo è poco e tiranno, la musica tanta. Ed è chiaro che ognuno cerchi di gestirsi gli ascolti in base a ciò che gli interessa maggiormente o che magari potrebbe interessargli. Per dire: io Salmo l’ho sentito solo nominare e avrò forse ascoltato un pezzo o due. Non mi piace, non mi interessa e mi sta bene così. Non sto dando dell’ignorante a chi lo ascolta, sia chiaro; semplicemente, preferisco dedicare le mie energie e le mie giornate a quell’immenso volume di musica che proviene dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, al country, al bluegrass, al rock, all’heavy metal, etc. etc. Sono un dinosauro perché non ascolto la trap o l’hip hop italiano? Per qualcuno, ovviamente si. Poi, guardo quelli che sono i miei ascolti dell’anno, e mi rendo conto di aver comprato più dischi di band e artisti sotto i trent’anni rispetto a quelli di gente morta o in odore di pensione. E mi sento incredibilmente gggiovane (per dire: l’album che più ho ascoltato nel 2019 è stato l’esordio di Billie Eilish, condividendo la medesima passione con mio nipote di tredici anni).
Resta un punto da sviscerare ed è quello relativo alla grandezza (o presunta tale) di artisti che, cito testuali parole di Luca, sono “unici e irripetibili, santi da venerare, eroi a cui attribuire un culto immortale, sacrilegio o lesa maestà il parlarne male o anche solo il metterne in dubbio l’assoluta grandezza”. Tema complesso, e spesso foriero di risse da bar o accoltellamenti da cavalleria rusticana fra sostenitori delle opposte fazioni. Da ultimo, proprio qualche giorno fa, si è verificato uno scontro a fuoco su Facebook a proposito dei Pearl Jam, band lapidata sulla pubblica piazza per osare fare ancora dischi rock, nonostante, per alcuni, siano ormai in quiescenza dagli anni ’90 o giù di lì. Ora, io non voglio certo mettermi a discutere se il gruppo di Eddie Vedder sia più rilevante artisticamente di Salmo: vista la premessa a inizio articolo sarebbe come parlare del sesso degli angeli. Ma è fuor di dubbio che le parole di Luca, poc’anzi citate, contengano a mio avviso una grande verità. Si può mettere in discussione la leggenda? È chiaro che, a questo mondo, tutto è possibile, anche sostenere che Gabigol sia più forte di Messi; ma è evidente che, oltre al gradimento personale, in questa affermazione qualcosa sembra essere quanto meno fuori centro (i trofei vinti e i goal realizzati fanno da obiettiva scriminante).
Ora, se a distanza di cinquant’anni si parla ancora di Beatles o di Led Zeppelin un motivo ci sarà. E non sono solo i dischi venduti, che hanno comunque un valore in quanto spia della popolarità e del gradimento di un disco. No. Alcuni artisti restano immortali non solo perché hanno segnato la loro epoca, ma perché hanno continuato a segnare anche quelle successive, dando (e trasmettendo) valore artistico universalmente riconosciuto alla sottocultura pop-rock. I Led Zeppelin hanno creato un suono imitato da tutti, i Beatles, invece, hanno proprio inventato musica (il loop, tanto per dire), Elvis ha indirizzato il rock, creato un’estetica, aperto allo star system, e Dylan…dai, veramente bisogna spiegare la grandezza di Dylan? Se Salmo diventerà una leggenda lo sapremo solo fra cinquant’anni, che Dylan lo sia ora, è un dato di fatto indiscutibile. Meglio Dylan o Salmo? Domanda oscena e improponibile che ha una sola risposta: dipende dai gusti di chi ascolta. A ciascuno la sua scelta e la sua musica. Ciò che credo non sia in discussione è che, alla resa dei conti, nell’anno domini 2019, il vecchio Bob sia un filino più importante del giovane Salmo. Ed è inevitabile che, delle cose importanti, si continui a parlare anche dopo decenni. Può annoiare, ma male, di certo, non fa.
PS: comprerò il disco dei Tool, band che adoro, e me lo ascolterò allo sfinimento, come è giusto che sia. Anche perché la recensione, fortunatamente, non sarò io a scriverla.