Incastonata nel plumbeo intrico di “Split” (brano di 20 minuti, tutto il lato A dell’album…) “Cherry Red” riporta la “forma canzone” nella più acuta fase underground dei Groundhogs, anno 1971. Ennesima variazione su standard hendrixiani, il brano del Reverendo McPhee rimbomba come un incubo all’alba di una notte trascorsa tra polluzioni sanguinolente e sudori freddi sul tremolo della Fender; una deformazione più splatter di certi Bloodrock, dove Peter Cruikshank, il bassista dal nome più impronunciabile del Regno, percuote il suo strumento con una clava, sostenendo un riff cavernicolo, saturo, stonato ma irresistibile, mentre il collega Ken Pustelnik si crede Mitch Mitchell epilettico e McPhee estrapola il falsetto maligno di un goblin affamato per il chorus del pezzo.
Una versione grunge dei Cream più rozzi. Alla terza ripartenza, chitarra-basso-batteria è impossibile non ritrovarsi a scuotere testa e piedi in preda ad allucinazioni sonnambule.
All night long, I loved her
Morning came to soon,
I knew she'd be gone by the afternoon.
I said "Please don't go!"
Still she said goodbye
But as she turned around she had a glad look in her eye.
And I thought it said
When you look round to see me
You turn right in your bed
The warmth of my body will heat you
Make your blood run cherry red,
Cherry red, cherry red.
All next day I waited for her return
But she didn't show
Until I turned to look on your night
I said, "Please come soon!"
Still there was no sign
But as the dawn returned that look round was just a lie.
As the dawn returned that look round was just a lie.
Il brano fu inciso in un solo “take”, praticamente un live in studio; il gruppo la passò in TV a Top of the Pops nell’Aprile 1971 col risultato che l’intero album fu il maggiore (e l’unico) successo commerciale per Tony McPhee: un ruvido hard garage da fare invidia ai sommi Grand Funk. Altri tempi.