“Quando la parola si farà corpo
e il corpo aprirà la bocca
e pronuncerà la parola che l’ha creato,
abbraccerò questo corpo
e lo adagerò al mio fianco.”
Hezi Leskli
David Grossman è nato a Gerusalemme nel 1954, ed è considerato uno dei più grandi scrittori contemporanei. Attivista politico, intellettuale, sostenitore della sinistra israeliana, è noto per il suo impegno volto a una risoluzione pacifica della questione palestinese. Ha vissuto da vicino il dramma della seconda guerra del Libano (2006), in cui suo figlio Uri, miliare di leva, ha perso la vita a soli 20 anni.
Ha all’attivo una produzione letteraria vastissima ed eterogenea, che comprende non solo romanzi, ma anche saggi e libri per bambini. Che tu sia per me il coltello, è considerata una delle sue opere più importanti e probabilmente, anche quella più “difficile” e “complessa”, perché non si tratta di una narrazione convenzionale, ma di tipo epistolare.
Il titolo richiama una frase che Kafka aveva rivolto, in una delle sue tante lettere, all’amata Milena: “Amore è il fatto che tu sia per me il coltello con cui frugo dentro me stesso”.
Yair e Myriam, i due protagonisti, non si conoscono, o meglio, Yair vede Myriam a una festa e osservando i suoi comportamenti, ha come la sensazione che lei si senta a disagio. Il gesto di lei di stringersi nelle braccia e il suo modo di sorridere, lo affascinano a tal punto che, dopo aver tentato invano di frenarsi, decide di scriverle per proporle un rapporto epistolare.
“Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettassi di ricevere delle lettere da me. Insomma, vorrei poterti raccontare di me (ogni tanto) scrivendo… Non che la mia vita sia così interessante…, ma mi piacerebbe darti qualcosa che altrimenti non saprei a chi dare. Intendo qualcosa che non immaginavo si potesse dare a un estraneo.”
Myriam accetta e ciò che ne consegue è un’interazione intima e profonda, senza filtri, in cui l’alternanza di stati d’animo e di suggestioni che si provano è paragonabile ai cicli delle maree.
Un rapporto che cresce e che cambia, giorno dopo giorno, diventando sempre più denso. Così come cambiano le parole, che assumono forme e intenzioni sempre nuove. Parole amiche, che sanno essere consolatorie, divertenti, ma anche sensuali, forti. Parole capaci di andare oltre i confini del tangibile fino ad unire in un modo unico e indissolubile due corpi che non si sono mai visti da vicino e nemmeno toccati.
Due estranei che diventano elementi centrali l’uno nella vita dell’altro. Due anime che il caso ha fatto incontrare e che attraverso le loro lettere, riescono a far emergere tutto ciò che hanno dentro e a donarlo completamente all’altro, senza remore, in modo complice e assoluto.
“Forse dovrei raccontarti che nelle ultime settimane ho pensato, nella mia grettezza, che se ho uno scopo nella vita, sei tu. O è legato a te. Oppure, attraverso te, potrei raggiungerlo. Non c’è logica in questo pensiero, ma è quello che provo e solo a te posso scrivere queste cose senza sentirmi ridicolo.”
Lettera dopo lettera, i due personaggi si mettono a nudo ed esplodono in un caleidoscopio di colori dalle infinite sfumature: Yair e Myriam, entrambi sposati, con due vite ben definite, diversi eppure simili nelle loro paure e fragilità, si ritroveranno totalmente dipendenti l’uno dall’altra.
Le loro lettere e quel “contatto” umano costante, diventano elementi imprescindibili, il vero senso delle loro giornate, o meglio, di quella vita comune, assai simile ad una bolla impenetrabile, fatta di sogni e desideri comuni, a cui hanno dato vita con le loro parole.
Ed è attraverso le parole di Yair, che emerge in modo chiaro anche la personalità di Myriam, una donna che a lui appare molto diversa dalle altre, perché dentro di lui risuona in un modo nuovo e sconvolgente. Ai suoi occhi, lei è unica e preziosa. È una donna che ha sofferto, ma che è stata capace di trasformare quella sofferenza in forza e determinazione.
È coraggiosa Myriam e si abbandona a ciò che vuole e a ciò che prova: “Yair, se mi rimane un altro desiderio voglio, chiedo, che tutte quelle migliaia di parole diventino corpo.”
Non voglio indugiare oltre nel racconto, per paura di svelare troppo di questo libro-capolavoro, in cui è impossibile non perdersi e magari anche immedesimarsi. Vi ritroverete inevitabilmente in tanti pensieri e stati d’animo dei due protagonisti. Più volte, durante la lettura, mi sono chiesta se Grossman avesse vissuto in prima persona qualcosa di vagamente simile, perché la sensazione che arriva è che sia tutto “vero”, “sentito”.
Parole appena sussurrate che si fanno poesia e che come gocce, scavano pian piano dentro di noi, facendo affiorare domande a cui non sempre si è in grado di rispondere.
In fondo, che cos’è quel coltello?
“Vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un'iniezione di verità, per dirla, finalmente, la verità. Sarei felice di poter dire a me stesso: "Con lei ho stillato verità". Sì, è questo quello che voglio. Voglio che tu sia per me il coltello, e anch'io lo sarò per te, prometto.”
Quel coltello che, in senso metaforico, ha tagliato in due Yair e Myriam, così come ha tagliato in due il corso delle loro vite, segnandole irrimediabilmente.