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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
28/03/2025
Live Report
Chalk, 27/03/2025, Arci Bellezza, Milano
Il trio di Belfast, Chalk, torna in Italia con il terzo atto dei suoi EP, Conditions III, e passa a rendere omaggio ad un Arci Bellezza sold out per l'occasione. Atmosfere malsane, furia iconoclasta e un martellamento incessante, dove un singolo dopo l'altro incendia l'atmosfera della sala.

Finalmente anche a Milano possiamo godere di un concerto dei Chalk. Il trio di Belfast è passato per la prima volta nel nostro paese la scorsa estate, in occasione di Ypsigrock, e la ricordo ancora come una delle esibizioni più belle di quell’edizione.

Conditions III è, come dice il titolo, il terzo atto di un gruppo che sta rimandando il più possibile l’accesso al disco vero e proprio, ma che attraverso una serie di EP da non più di 15 minuti l’uno sta delineando la propria visione e dimostrando di avere le idee ben chiare sulla direzione da prendere. Se i primissimi brani si muovevano ancora su coordinate tipicamente Post Punk, col prosieguo del discorso i tre hanno incorporato influenze diverse, soprattutto nel campo della musica elettronica, una metamorfosi evidenziata dalle nuove “Leipzig 87” e “Afraid”, che sembrano giustificare quella definizione di “Berghain Rock” coniata sin dagli inizi da alcuni addetti ai lavori.

Da parte loro, sembrano vivere tutto questo con grande serenità: si conoscono da diversi anni, studiavano cinema assieme al college e hanno operato parecchio in questo campo, prima di decidere mettere su una band. Colpisce anche scoprire che cosa rispondono quando si chiede loro quali sono i gruppi che li hanno maggiormente influenzati: senza pensarci troppo, citano Viet Cong (che adesso si chiamano Preoccupations, ma che col vecchio monicker hanno realizzato cose che si avvicinano, per violenza e asetticità, alla musica degli irlandesi) e Protomartyr, con Joe Casey che è stato un modello soprattutto per il cantante Ross Cullen. È interessante, dunque, che più si va avanti e più quelle band che consideravano “nuove” non più di una decina di anni fa, adesso acquistino  in parte lo status di classiche e ispirando una giovane generazione di musicisti che non guarda per forze di cose al passato più storicizzato.

 

Questa sera l’Arci Bellezza è sold out e anche questa è una bella notizia: in Italia, lo ripeto sempre, è difficile che un nome così giovane, con all’attivo così poco materiale, riesca già a suscitare hype sufficiente da riempire anche solo un piccolo locale. Evidentemente anche da noi esistono le eccezioni, speriamo che la data di Bologna vada altrettanto bene e che questo contribuisca un po’ a muovere le acque.

 

In apertura c’è Kyoto ed è una gran bella apertura: conoscevo solo di nome il progetto di Roberta Russo, originaria di Monza ma attualmente di stanza a Bari, e devo dire che mi ha colpito molto. Elettronica scurissima, a metà tra Techno e Industrial, linee vocali che passano con disinvoltura dallo spoken word al cantato tradizionale, momenti in cui emerge un retroterra cantautorale che ben si sposa con il lavoro di produzione fatto sui singoli brani. La scelta di suonare praticamente a luci spente potrebbe sembrare dannosa ma in realtà si rivela funzionale a creare un’atmosfera di mistero e inquietudine, oltre che a far risaltare maggiormente testi che sembrano avere anche una forte componente di attualità e critica sociale.

Da rivedere sulla lunga distanza (al momento è uscito solo un EP, Limes Limen, che oltretutto è già vecchio di un anno) e menzione speciale per la maglietta col logo associato all’immagine di San Nicola, indossata anche dal chitarrista dei Chalk Benedict Goddard.

 

 

Dal vivo l’impatto degli headliner Chalk è devastante, ovviamente amplificato dal fatto di essere al chiuso in uno spazio clima raccolto. L’assetto è basilare, con la batteria di Luke Niblock unico centro propulsore, motore analogico essenziale nell’assicurare tiro e potenza (la sua è veramente una prova eccellente), Benedict Goddard ad occuparsi di tutta la componente elettronica (che anche in sede live costituisce la stragrande maggioranza del loro sound) e Ross Cullen mattatore indiscusso, tra linee vocali sporche, urla, contorsioni varie e passeggiate in platea a stretto contatto col pubblico.

Purtroppo la chitarra, che ha comunque un ruolo non secondario nell’economia dei pezzi, soprattutto di quelli più datati, risulta poco incisiva, probabilmente per la scelta di non passare da un amplificatore vero e proprio bensì da uno digitale. Non so se sia dipeso da quello, ma per quasi tutto il set Goddard ha accusato problemi di spia, cosa che ha causato un po’ di nervosismo, trasmesso anche ai due compagni.

Al di là di questo, la prestazione del gruppo è stata ottima, in grado di restituire le atmosfere malsane delle versioni in studio, e con una furia iconoclasta che ha ricordato non solo i già citati Viet Cong ma anche i loro connazionali Gilla Band, anche se Dara Kiely e compagni riescono ad essere paradossalmente molto più estremi.

 

In scaletta c’è anche un pezzo nuovo, “Orenburg”, che lascia intravedere una direzione leggermente più melodica, anche se è troppo poco per giudicare. Per il resto, si tratta di un’ora di martellamento incessante, un pozzo nero senza fondo che sembra fungere da metafora ideale per la fine della modernità. Se già nella fase iniziale le varie “Afraid”, “Tell Me”, “The Gate” (mostruosa) avevano incendiato l’atmosfera, il finale con le bordate di “Asking” (senza dubbio uno dei loro pezzi più rappresentativi), “Them” e “Velodrome” fa esplodere definitivamente la tensione, e nelle prime file si scatena il pogo.

Margini di miglioramento ne hanno (dovrebbero soprattutto diminuire le parti in sequenza e suonare un po’ di più), la ricetta non è per niente originale, ma le canzoni hanno personalità, e le contaminazioni di questo ultimo EP sono interessanti, se sfruttate a dovere potrebbero regalarci un disco di grande spessore.

Per il momento ringraziamo per la serata e teniamoli d’occhio, sono sicuro che non ci deluderanno.

 

Photo credits: Laura Floreani