Uscito nel 1977, in un momento storico in cui il furore punk incendia la scena musicale inglese, Works, Volume 1 è un doppio album monumentale e ambizioso, in cui solo una delle quattro facciate è attribuita al gruppo, mentre in ciascuna delle altre ognuno dei tre musicisti propone del materiale proprio. La band sta, infatti, percorrendo velocemente la china dello scioglimento, i tre non si sopportano più e le velleità soliste prevalgono sulla visione d’insieme. Tuttavia, siccome pecunia non olet, un rapido calcolo squisitamente economico, fa virare i tre verso questa bizzarra scelta, che contempera la voglia di esprimere più compiutamente i reciproci ego e il mero tornaconto commerciale, garantito dall’egida ELP.
Keith Emerson si prende il lato A del disco con Piano Concerto No. 1, una lunga suite per pianoforte e orchestra, Greg Lake il Lato B con cinque canzoni dal retrogusto romantico, Carl Palmer la terza facciata virata verso un rock onesto a cui contribuisce anche Joe Walsh (Eagles), mentre l’ultima facciata è equamente divisa fra i tre. Il risultato è un disco fiacco, magniloquente, la cui ispirazione è ridotta ai minimi termini. Dal disastro, perpetrato poi dal successivo e pessimo Works, Volume II, si salvano la celebre Fanfare For The Common Man, adattamento di un brano Aaron Copland e una malinconica ballata di Greg Lake, scritta in condominio con il paroliere Pete Sinfield, suo compagno nei King Crimson, intitolata C’est La Vie.
Il brano fu concepito da Lake in un breve periodo della sua vita in cui si era traferito a vivere a Parigi. Affascinato dalla città, il musicista usciva spesso di casa per lunghe passeggiate che gli permettevano di respirare la bellezza e la storia dei luoghi. Per le strade parigine, poi, sentiva spesso suonare uno strumento di cui non conosceva il nome (era un organetto, barrel organ in inglese), ma il cui suono trovava estremamente seducente. Gli venne pertanto in mente di utilizzare questo strumento inconsueto per una canzone che stava componendo in quei giorni. Mentre tornava a casa da una di queste passeggiate, poi, Lake passò davanti a un bar in cui suonavano una vecchia canzone di Edith Piaf, la celeberrima cantante francese, nota per l’evergreen La Vie En Rose. Fu in quel preciso istante che il bassista e chitarrista inglese decise che la sua nuova canzone dovesse prendere la forma di un brano che evocasse Parigi e il romanticismo sprigionato dalla città. Lake, però, non conosceva il francese, ad accezione di poche frasi, tra cui C’est La Vie, è la vita, che scelse come titolo per la canzone.
C’est La Vie è una canzone sul rimpianto, su ciò che avrebbe potuto essere e invece non è stato. Un brano struggente, gonfio di malinconia e di lacrime, che racconta di un amore irrealizzato, che fluttua in un universo parallelo alla realtà, in cui la nostalgia per un’occasione persa riempie il cuore di struggimenti romantici. “C'è un amore troppo profondo da mostrare, ma tu hai preso una tempesta prima che il mio amore fluisse per te. E’ la vita” canta Lake col groppo in gola. E ancora: “Come una canzone, stonata e fuori tempo, tutto ciò di cui avevo bisogno era una rima per te”. Lei si è già innamorata di un altro (hai preso una tempesta) e ora i sentimenti del protagonista sembrano insulsi e patetici (una canzone stonata e fuori tempo), tanto che la delusione d’amore diventa dubbio esistenziale: “Chissà, a chi importa di me. E’ la vita”.
La canzone, in patria, raccolse numerose critiche da parte delle riviste specializzate, che trovavano il brano non solo melenso e posticcio, ma anche troppo simile a un’altra grande canzone di Lake datata 1973, Still…You Turn Me On. Poco male, visto che due anni dopo la pubblicazione, Johnny Hallyday, una sorta di Elvis Presley francese, ne registrò una cover che finì al numero uno nelle classifiche di Francia.