È come se tutto ciò che rimane fosse il Cinema, l'ambiente e il mondo dentro cui ci piace stare, un'arte al cospetto della quale, proprio come già accadeva in Bastardi senza gloria, anche la realtà e la Storia si piegano. In C'era una volta a... Hollywood ci sono delle storie, c'è anche la Storia, ma è come se tutto fosse cornice e pretesto per l'atto d'amore finora più sentito e sincero di un regista che prima di una professione omaggia e si dichiara perso completamente per quella che è la sua più grande e pura passione. Questo approccio del regista, per chi non ha un amore sincero e forte per il Cinema e a chi ne conosce distrattamente solo la produzione più recente e moderna, potrebbe sembrare un limite o il viatico per un viaggio senza meta, o quantomeno verso una meta raggiunta prendendo un giro molto, molto largo. Ma se il Cinema lo amate, ogni sequenza, ogni divagazione, avrà il suo peso, piccolo o grande che sia, e saprà ricompensarvi, per tutta una serie di motivi diversi, a partire dalla piccola citazione cinefila fino ad arrivare alla prova gigantesca di due attori di razza, riempiendo di sostanza due ore e quaranta minuti che voleranno via in un attimo.
C'era una volta a... Hollywood, oppure potremmo leggere C'era una volta... Hollywood, senza la preposizione semplice "a". Il nuovo film di Quentin Tarantino è anche una ricostruzione di Hollywood, magari ingentilita e filtrata da occhi adoranti, in un dato momento storico - la fine del decennio dei Sessanta - anni in cui si svilupparono i movimenti legati al fenomeno hippie, ideali di pace e amore presto traviati e corrotti dalla violenza che prenderà piede nel decennio successivo. Ma nel '68 c'è ancora speranza, c'è ancora modo di sognare, e il Cinema cos'è se non la porta verso sogni ed emozioni tutte da provare? In una delle scene più belle del film si vede una giovane Sharon Tate (Margot Robbie), emozionata, orgogliosa nel senso più buono del termine, che si riguarda sul grande schermo di una sala buia in The wrecking crew, film con Dean Martin, ed è bellissimo coglierle in viso la gioia per le risate della gente seduta in sala con lei, l'adorazione per quella forma d'arte così giovane e bella (com'era lei, com'è ora la Robbie). Per lo spettatore la ricostruzione di quegli anni è impagabile: messa in scena, costumi, veicoli, tutti i dettagli sugli spettacoli nei teatri e nei Cinema di una Los Angeles passata catapultano in un mondo diverso, un'immersione totale nel passato. Protagonisti di questo viaggio nel tempo due attori sempre più bravi, Brad Pitt e Leonardo Di Caprio, circondati da un cast di gran lusso (la Robbie ma anche Pacino e Hirsch e, altra magia del Cinema, il povero Luke Perry) insieme ad alcuni degli amori del regista: Michael Madsen, Kurt Russell, Bruce Dern.
La vicenda è una storia di Cinema. Rick Dalton (Leo Di Caprio) è un attore che ha fatto successo con una vecchia serie western, Bounty Law, e che ora vive più che altro di comparsate in altri serial dove interpreta solitamente il cattivo di turno. La situazione inizia a deprimerlo, a rincuorarlo il suo amico più fedele, Cliff Booth, da sempre la sua controfigura, un ottimo professionista radiato però da parecchie produzioni per il suo carattere affabile ma spesso imprevedibile (non è da tutti andarsi a cercare rogne con Bruce Lee). Inoltre l'agente Marvin Schwartz (Al Pacino) prospetta a Dalton una parabola discendente poco incoraggiante e gli offre un'unica soluzione: andare a girare gli spaghetti western a Cinecittà. Ma per Dalton quella roba è poco più che merda, la sua depressione aumenta però... l'attore scopre che i suoi nuovi vicini di casa sono la bellissima Sharon Tate e il regista del momento, un giovane Roman Polanski (Rafal Zawierucha), vuoi vedere che da cosa nasce cosa... Le vicende di Rick e Cliff faranno rivivere la Hollywood di quegli anni e incroceranno la strada con la Storia, quella di Sharon e della Manson family.
Nel mezzo di questo sviluppo, che avrà un epilogo molto tarantiniano, quello a cui assistiamo sono frammenti di Cinema, non c'è altro modo per definire questa nona opera del regista, frammenti girati e recitati con passione travolgente, non si contano le citazioni al Cinema di genere (quello italiano si ritaglia un bello spazio), Rick Dalton finisce addirittura dentro La grande fuga di Sturges, attori noti e meno noti, vivi e morti (interpretati da loro stessi o da qualcun'altro) finiscono nel film in un cortocircuito che restituisce una sola parola: passione. C'era una volta a... Hollywood è il giocattolo definitivo di Quentin Tarantino, un giocattolo pieno di riferimenti e buona musica che di bello ha il grande pregio di poter diventare il giocattolo di tutti ed essere condiviso, proprio come un'emozione in una sala buia. Questo è, non hanno troppa importanza la trama, la Storia... o meglio, ce l'hanno, ma tutto nell'ottica di (re)immaginare un'industria, un'arte e una passione che ancora oggi ci accomunano in molti. Di questa passione, di questo club esteso, Tarantino potrebbe esserne semplicemente il Presidente.
PS: ci vorrebbe poi un trattato sul come Tarantino abbia messo in scena il film: riprese, location, citazioni, riferimenti, casting, etc., etc., sicuro che prima o poi qualcuno provvederà.