La storia della pubblicazione della Casa di foglie è quasi interessante come il romanzo stesso.
Vista la sua natura ergodica*, fatta di parole colorate, di pagine bianche, di paragrafi scritti in verticale, in orizzontale, scritte a fondo pagina e note dentro le note e dentro girandole, quadrati, stampate al contrario... insomma, in base alla pazzia di chi il romanzo l'ha concepito, la sua stampa richiedeva molta attenzione, molta cura e ovviamente parecchi soldi. Soldi che avrebbero reso vendibile il romanzo solo a costi esorbitanti.
Come fare?
La Mondadori ci provò.
Scelto il libro il giorno dopo un altro romanzo strano e bellissimo (Opera struggente di un formidabile genio), si impegnò sostituendo i colori blu e rosso con tonalità di grigio, accordandosi con Danielewski stesso.
Ma poi, dopo una prima edizione riuscita, basta.
La ristampa si fermò, Casa di foglie divenne introvabile.
Venduto a pochi euro sui mercatini, a prezzi che sfioravano le 200 euro su ebay.
Il suo alone di libro cult che cresce, la sua fama di romanzo introvabile pure.
Finché lo scorso autunno la 66TH A2ND decide di risolvere il problema, facendosi carico di una corposa riedizione, seguendo pari pari i colori, le direzioni, le scelte di Danielewski, e pubblicando alla "modica" cifra di 29 euro Casa di Foglie nella sua interezza.
Un successo.
Un ritorno in classifica.
L'accontentare fan e cercatori.(1)
______________________________________
(1)Io, dove mi piazzo?
Io lo scopro grazie a un articolo del Post**, mi fiondo in libreria, accarezzo la mia copia, la studio dall'esterno, guardando a quelle pagine confuse, a quelle pagine bianche, a quei collage, a quei ritagli.
Cosa mi si racconta dentro?
Perché tanto sapevo della sua pubblicazione quanto niente della trama.
Mica lo sapevo che fosse a tratti una storia d'orrore, tanto da mettere i brividi.
Mica lo sapevo che ne sarei rimasta ossessionata, parlandone con tutti gli amici e parenti, che mi guardano strano, che guardano strano quel libro così grande, così voluminoso, così intricato nelle sue note delle note, nei suoi allegati da dire "grazie, ma no, non lo leggerò mai".
Io ci ho passato la mia seconda settimana di ferie assieme, senza riuscire a staccarmene, con le ore che volavano senza che me ne rendessi conto, con un senso di claustrofobia in quell'intricato, impossibile, claustrofobico capitolo IX [vedi Allegato I], seguito per fortuna dall'aria che si respira con il X [vedi Allegato II]. A leggere lettere in codice, trovarci dentro un altro codice, cercarlo quel codice in altre parti del libro, cercare una soluzione, una teoria che legasse Navidson a Zampanò a Johnny, rimanendo in parte delusa per non trovare riscontro di queste mie teorie, in un finale che non lo so se l'ho capito, ci spero, che so che Johnny non è affidabile, che il suo diario inganna, trovandomi -come lo stesso Danielewski ha dichiarato- di fronte non ad una storia d'orrore ma a una storia d'amore.
Una storia complicata e per questo bellissima.
Tra una madre e un figlio, o meglio tra un figlio e una madre, tra una coppia non più vicina che in una casa cerca la nuova stabilità.
____________________________________
Ma chi sono i protagonisti de La versione di Navidson, il romanzo dentro il romanzo?
Lui, Navidson, famoso fotografo.
Lei, Karen, ex modella, ora madre a tempo pieno.
Lui ha girato il mondo in lungo e in largo, vincendo Premi (compreso un Pulitzer), lei colleziona amanti.
Ora, in Virginia, in una casa isolata da plasmare a loro piacere, assieme ai figli, al cane, al gatto.
Ma quella casa è diversa.
Quella casa dal nulla fa comparire uno sgabuzzino.
Che succede?
Lo scherzo di un muratore troppo efficiente?
Le misure non tornano, Navidson si intestardisce, chiama il fratello, chiama l'amico ingegnere.
Le misurazioni danno sempre uno scarto, qualcosa non torna tra l'interno e l'esterno di quella casa.
Poi un corridoio appare dal nulla. E che dà nel nulla.
Un corridoio sinistro, buio e all'apparenza impenetrabile.
Infinito, in realtà.
Lungo prima pochi metri, poi chilometri, poi ancora pochi metri.
Saranno 5 le esplorazioni per cercare di arrivare ad un risposta, con scale che scendono per chilometri, stanze che si aprono, il gelo che resta stabile, il buio a regnare. E un ringhio che si sente.
È la casa stessa?
C'è qualcosa nascosto lì, nelle tenebre?
L'ossessione si impossessa di Navidson ma anche dei suoi aiutanti, con una spedizione di esperti arrivata dall'esterno perché Karen non ne vuole sapere di lasciarlo andare dentro lì, di abbandonarla ancora una volta per un'esplorazione.
Tutto questo è un film.
O un documentario, meglio.
Un film/documentario misterioso come il romanzo stesso, che sembra non esistere, sembra però analizzato in ogni minimo dettaglio da esperti di qualunque tipo: psicologi, architetti, linguisti, spiritisti, registi, critici.
Un film che fatto di telecamerine ricorda gli horror alla Blair Witch Project, con tanto di diari personali e la sensazione da parte di un ipotetico pubblico di vedere qualcosa di vero che potrebbe essere costruito ad arte.
Per tanti, sembra diventa un'ulteriore ossessione.
Per Zampanò di sicuro, vecchio e cieco, ci passa la vita a redigere questo sunto che dovrebbe essere la sua analisi completa, ricca e arzigogolata, con citazioni a non finire di quegli esperti.
Per Johnny Truant pure, che il film non lo vede e non lo trova di certo (anche se i redattori lo confutano in parte), ma che trova gli scritti di Zampanò, vicino del suo amico ludico Lude, e ci finisce dentro.
Sarà la sua ossessione rimetterlo in ordine, darci un senso, trovare risposte e traduzioni, aggiungendoci così note personali, raccontandoci la sua storia*** che sembra una spirale senza fine dove l'instabilità materna ha la meglio.
Le madri, di Johnny, di Navidson, sono infatti assenti.
Ci sono però le lettere di quella di Truant**** a restituirci un'anima in pena, amorevole ma pure malata, ossessionata anche lei da cospirazioni e dolore.
Così l'esplorazione di Navidson ad affrontare quel corridoio, quella di Karen per sue paure, quella di Johnny nel rapporto con la madre, restituiscono brividi d'amore, non solo d'orrore.
* da librinews: La definizione di letteratura ergodica maggiormente citata è quella di Espen J. Aarseth nel libro Cybertext – Perspectives on ergodic literature, che qui traduciamo come segue: “Nella letteratura ergodica sforzi non superficiali sono richiesti per permettere al lettore di ‘attraversare’ il testo”. Affinché il concetto di letteratura ergodica abbia senso, scrive Aarseth, “deve esserci anche della letteratura non-ergodica, nella quale lo sforzo richiesto per la lettura del testo è superficiale, senza responsabilità extra-noematiche a carico del lettore, fatta eccezione (per esempio) per il movimento dell’occhio e l’occasionale o arbitrario voltare delle pagine”.
** l'articolo del Post QUI
*** e anche se i capitoli tecnici che restituiscono La versione di Navidson sono insuperabili, il mio occhio cercava il font di Truant, voleva sapere di più delle sue avventure losangeline, delle sue conquiste, delle sue ricerche, del suo amore per Tippete la spogliarellista e della sua ironia incontenibile nota dopo nota a restituire un genio incompreso.
**** pubblicate pure a parte, come Le lettere di Whalestoe
E il Minotauro?
Il Minotauro eliminato ma restituito?
Il suo mito di figlio deforme e nascosto, di figlio protetto ma isolato, di figlio pianto e temuto?
È tutto una grande metafora?
Io penso di sì, ma chi lo sa se c'ho capito davvero qualcosa di questo libro. Non lo so se ho trovato il senso giusto di leggerlo mentre lo giravo di 360 gradi in 360 gradi, non lo so se quel finale sospeso, in una notte di Halloween senza più luce, in una madre che sussurra al suo bambino che può andare, non lo so se mi ha restituito la stessa soddisfazione di aver letto T U T T A questa Casa di Foglie.
Sarà banale, sarà ormai una frase scontata, ma il viaggio ha contato più, molto di più, della meta.