Un anno fa di questi tempi gli organizzatori di Caramello si trovavano in forte difficoltà: l’aumentare dei contagi destava preoccupazione e i live, che già da qualche settimana si erano spostati al chiuso, parevano avere la sorte segnata. Erano riusciti a far suonare Emma Nolde con i Tonno in apertura, e quello era stato il mio penultimo concerto. Già un paio di settimane dopo, la presentazione del nuovo Ep di Elasi era stata cancellata. Da lì, sappiamo bene come è finita.
È passato un anno ma sembra passato un secolo. Sono arrivati i vaccini, è stato introdotto il Green Pass, la situazione epidemiologica è decisamente migliorata e anche se il nostro settore rimane tuttora fortemente penalizzato da restrizioni incomprensibili, è fuor di dubbio che oggi lo scenario sia più roseo. La fine è senza dubbio ancora molto lontana ma dall’altra sera, forse, si è capito davvero che tutto questo potrebbe veramente finire.
L’Arci Bellezza, da sempre casa della rassegna Caramello, ha ancora tavoli e sedie ma c’è un bello spazio lasciato libero davanti al palco. I presenti non hanno bisogno di sentirsi dire che si possono alzare, dopo un minuto dall’inizio sono già tutti in piedi a ballare e l’atmosfera si fa subito calda.
Di scena ci sono due band, i brianzoli Finnegans e i veneti Laguna Bollente, diverse tra loro ma per certi versi simili, entrambe caratterizzate da un’atmosfera sonora dimessa, un’estetica Lo Fi e un’attitudine scanzonata e a tratti irriverente.
I Finnegans, che ufficialmente sono nati come duo ma che dal vivo sono in quattro più le basi, si autodefiniscono scherzosamente “I Pooh con i Synth” ma in realtà il paragone è più concettuale che altro (anche perché, tra le altre cose, i Pooh i Synth ce li avevano). Il loro è un It Pop calcuttiano, che potrà anche essere rivestito di New Wave ma che, nella versione che portano sul palco, suona parecchio grezzo e che ogni tanto si lancia in qualche incursione in territorio Punk (la rumorosa versione di “Spara Jurij” con cui chiudono il set ne è un esempio significativo).
I brani sono per la maggioranza quelli che andranno a far parte del secondo album Brianzacore, alcuni dei quali sono già usciti come singoli; tra queste anche “Berlino Est”, apparsa sulle piattaforme proprio la sera del concerto e già conosciuta perfettamente da qualche irriducibile sotto il palco. C’è anche qualcosa dall’esordio omonimo del 2019 e in generale è una prova convincente, i brani scorrono via dritti e senza fronzoli, le basi (che in assenza di tastiere e di chissà quali soluzioni di arrangiamento sono quelle che caratterizzano maggiormente la personalità dei vari pezzi) si sentono poco e questo rende forse il tutto un po’ troppo omogeneo, unitamente anche a qualche problemino di intonazione da parte di Francesco Redaelli.
Per il resto comunque funziona bene, le canzoni hanno buone potenzialità e almeno un paio la forza sufficiente per diventare delle hit. Aspettiamo il nuovo disco ma, al netto di un genere ormai trito e ritrito, questi Finnegans potrebbero riuscire a dire la loro.
Cambio palco veloce ed ecco i Laguna Bollente. Dunia Maccagni ed Elia Fabbro li avevamo già raccontati nell’intervista di quest’estate: lei è di Cesenatico, lui di Pordenone, si sono incontrati a Venezia e sono divenuti partner artistici e compagni di vita. Il loro è un progetto che sembra uscito direttamente dal DIY di fine Seventies: Ep pubblicati su cassetta, la partecipazione ad un collettivo artistico che realizza grafiche e fanzine, nessuna presenza sui Social (giusto un paio di video e un’intervista), una generale aurea di mistero che ne rende ancora più affascinanti i contenuti.
Sul palco poco appariscenti e molto rilassati, Dunia che canta e suona la chitarra, il sorriso stampato in faccia e una noncuranza disarmante nel cantare testi che, al di là del linguaggio crudo e dell’ironia cinica, esplorano tematiche importanti e non banali dal punto di vista socioculturale. Elia suona il basso e canta le seconde voci, tutto il resto lo hanno fatto a casa loro e lo mandano in base, purtroppo questa sera con qualche problemino tecnico, visto che l’impianto trasmette i suoni registrati a mezza potenza ma i due se ne rendono conto solo alla fine.
Catalogarli non è facile: Post Punk e New Wave sono sicuramente i linguaggi a loro più congeniali ma la voluta trasandatezza del vestito sonoro e lo sfondo a metà tra il demenziale e il nonsense di alcune situazioni narrate rendono complicato e forse inutile ogni tentativo di incasellamento.
Anche il loro è un set diretto e senza troppi abbellimenti, le canzoni sono ottime, si prestano al singalong e la cassa dritta in molti punti favorisce il movimento del pubblico. Non hanno un repertorio molto vasto, per cui nella mezz’ora abbondante a loro disposizione esauriscono tutte le tracce dei due Ep “Discocesso” e “Nord Sud Ovest Sert” (dai titoli già si capisce molto), con i presenti che conoscono e cantano la maggior parte dei brani. Difficile citare qualche titolo anche se indubbiamente “Latta”, “Radicale”, “Schiaffi” e “Saluti e sputi” sono quelli che permettono di inquadrare meglio la proposta del duo. Ovviamente non manca “Joan Mirò”, vero e proprio manifesto sonoro nonché brano più amato dai fan; viene risuonato alla fine e per la prima volta dopo un anno e mezzo vedo qualcuno pogare ad un concerto. Sono ormai troppo vecchio per partecipare ma direi che è stato lo stesso impagabile.
Difficile prevedere come andrà a finire (anche perché siamo in un periodo in cui gli artisti stranieri continuano a spostare i tour o comunque a non passare dall’Italia) ma è indubbio che serate come queste servano più che mai, anche solo ad infondere coraggio negli addetti ai lavori, nella convinzione che davvero questo ostacolo verrà superato.