Canvas Melodies è l’album d’esordio del contrabbassista Alessio Zoratto, un’opera dall’ampio spettro visivo e uditivo composta da 10 brani e caratterizzata da un prezioso cuore di jazz contemporaneo, che abbraccia contaminazioni rock e di musica contemporanea, dove le sonorità risultano dolci e aspre al tempo stesso e il jazz crea una base poliedrica grazie anche all’uso di strumenti acustici ed elettrici che donano rotondità ai brani.
L’album vede la collaborazione di un quartetto tutto europeo: il chitarrista francese Manu Codjia, il vibrafonista italiano Giovanni Perin, il batterista lussemburghese Paul Wiltgen, il sassofonista e soprano Javier Girotto (argentino ma naturalizzato italiano, che renderà magici alcuni brani dell’opera), ma prima di inoltrarci nell’anima del progetto, approfondiamo la figura dell’artista.
Alessio Zoratto nasce ad Udine nel 1994, cresce ascoltando diversi generi musicali, spaziando da Vivaldi agli Incognito fino ad arrivare a James Taylor e ai Red Hot Chili Peppers, ma sarà la black music a far scaturire in lui l’amore per il basso elettrico; solo verso i 19 anni, ascoltando Chet Baker, scoprirà il suo amore per il jazz, passione che qualche anno dopo lo porterà ad iscriversi al conservatorio per lo studio del contrabbasso, dove il destino metterà sulla sua strada quotati musicisti come Glauco Venier e Alfonso Deidda.
Insieme agli studi di musica classica e jazz, Alessio si è formato anche nel campo delle arti figurative frequentando il liceo artistico, dove nell’adolescenza viene attratto da alcuni capolavori dell’arte contemporanea: una passione che ancora oggi è viva e arde in lui come il fuoco greco, tanto da essere stata la scintilla che l’ha condotto alla realizzazione dell’album odierno.
L’album è difatti composto da 10 brani ispirati ognuno a 10 opere d’arte dello scorso secolo che hanno fatto da cornice ad alcuni momenti chiave della vita di Alessio. Le tele delle melodie citate nel titolo sono anche state realizzate come 10 opere visuali grazie alla creatività di un artista digitale (Giacomo Urban, fotografo, videomaker e AI artist) che basandosi sull’esperienza d’ascolto dei brani composti ed eseguiti da Zoratto, ha utilizzato l’intelligenza artificiale per creare copertina dell’album e le 10 opere, inserite poi nel “libretto” del CD e del vinile.
La melodia e l’improvvisazione fungono da collante per tutti i brani, realizzando una sorta di magia uditiva e visiva che si sviluppa tra tradizione e innovazione, mentre l’opera nel suo complesso guarda alla bellezza reale senza pizzi e merletti, grazie anche alla connessione di ogni traccia con le opere visive: una magnificenza da vivere a 360 gradi, da far propria con gli occhi incantati del bambino che è dentro di noi.
Andando a scoprire nello specifico le opere d’arte scelte che accompagnano i diversi brani, la prima suggestione visiva che accompagna l’album è quella del dadaismo, che vede scelta la “Nude Descending a Staircase n2” di Duchamp, per poi dirigersi verso l’espressionismo elegante di Matisse, seguito da quello più ruvido di Schiele per raggiungere successivamente l’astrattismo di Kandinskij per poi approdare al cubismo di Picasso. Opere che assumono forme proprie e rimodellano il concetto di corpo: dalla nudità che diviene studio del movimento in Duchamp, ai corpi sintetizzati come oggetti ne “La danza” di Matisse, ai corpi scavati di “Lovers” di Schiele, alla riproduzione delle forme stravolte nella “Guernica” di Picasso.
Il percorso visuale prosegue poi verso il diverso stravolgimento delle forme suggerito dal surrealismo, che qui si incontra con altre due celebri opere: “The Persistent of Memory” di Dalì, dove il tempo è rappresentato in forma quasi liquida e dissonante, in contrasto con le intonazioni e i dettagli certi dell’esistenza, e “Ceci n’est pas une pipe” di Magritte, dove il senso comune acquista un nuovo significato.
Canvas Melodies si avvale anche del mondo della fotografia grazie a due opere. Da un lato “Paesaggio 4” di Franco Fontana, dall’altro la composizione dadaista di Man Ray “Le Violon d’ Ingres” (l’opera che mostra la modella Kiki de Montparnasse di schiena, nuda fino sotto la vita, con due fori a F dipinti per far sembrare il suo corpo un violino), che nel 1924 sconvolse il classicismo invitando la mente a condursi verso passioni meno visibili pubblicamente, di quelle che talvolta possono assumere anche le sembianze di una reale ossessione.
Oltre alla fotografia, Alessio Zoratto sceglie anche un’altra tipologia di forma artistica, dedicando una traccia del disco a “Poverty and power” di J. Michel Basquiat, dove l’uso dei graffiti si erge a rivoluzione tecnica.
L’album di Zoratto dipinge la propria opera non solo di arte e di talento musicale, ma permette all’ascoltatore di immergersi in variegati colori emotivi, partendo dalla prima traccia, “Landscape”, in cui l’aurora musicale appare vestita di magia per poi iniziare la sua ipnotica danza, in movimenti che avvengono attraverso particelle d’esistenza che volteggiano verso l’effluvio dell’immutabile e ci portano verso “Creative dance”, dove l’andatura dei sentimenti segue i ritmi accelerati del cuore, energia che riluce inseguendo nuove prospettive animate da un’iridescente linfa vitale.
Nella successiva “For Guernica” il suono s’incupisce prendendo la forma di cumuli neri di pensiero e trasportandoci virtualmente alla famosa battaglia che ha tanto ispirato Picasso, per poi essere sedotti e vedersi rubare il cuore da “Two lovers” con la sua andatura condensata, dove le emozioni fluiscono abbattendo la fortezza del nostro castello interiore, troppo spesso assaltato da avvenimenti avversi.
Tracce come “This is not jazz” e “Dada”, invece, conducono alla fine del meraviglioso viaggio musicale, esplorazione di lidi mentali che permette di arrivare a far scorgere i lineamenti di un nuovo orizzonte della musica che si fonde quasi anche con la psicologia, mostrando quanto le sensazioni che proviamo siano profonde. Sarà anche grazie a ciò che diceva anche Schiele: “Fate in modo di vedere, se ne siete capaci, dentro l’opera d’arte”.
Dadaismo, surrealismo, cubismo e neoimpressionismo danno immagine e forma nuova al jazz di Zoratto e del suo quartetto, catapultando al tempo stesso nel periodo delle avanguardie artistiche e letterarie del Novecento, dove il valore metaforico delle emozioni e della psiche, assume anche l’immagine di Freud, il fondatore della psicanalisi. Le strutture fisiche della mente non sono forse legate a doppio filo con l’arte e la musica?
Il jazz ad esempio, come il dadaismo, si allontana dalle convenzioni stilistiche per avvicinarsi il più possibile alla libertà creativa, traguardo pienamente raggiunto grazie alla “tecnica” dell’improvvisazione da un lato e all’uso di collage e fotomontaggio dall’altro. Zoratto ha reso possibile tutto ciò proponendo un’opera in cui il jazz fa da base a sperimentazioni tecniche coinvolgendo artisti internazionali in ambito musicale, pittorico e grafico con una formazione e dai gusti differenti. Chapeau. Progetti come questo fanno fremere di stupore, creano ponti per nuove frontiere e nuove sfide della comunicazione contemporanea.