Non hanno perso tempo i Calibro 35, che dopo l’impegnativo progetto di Scacco al maestro, dove hanno rivisitato il repertorio di Ennio Morricone con un doppio album e relativo tour, sono tornati immediatamente a scrivere e a pubblicare canzoni. Nouvelles Aventures, uscito a maggio, è l’ennesima prova convincente di una band che di fatto non ha mai sbagliato un colpo, e allo stesso tempo un deciso passo avanti in sede di scrittura, lasciandosi indietro le suggestioni cinematografiche da poliziesco anni ’70 per abbracciare un più ampio spettro di influenze, senza tuttavia perdere il proprio specifico marchio di fabbrica.
Nel frattempo c’è stato anche un importante cambio di line up, col bassista Luca Cavina sostituito da Roberto Dragonetti, dopo che diverse date del precedente tour estivo erano state coperte da Roberto Dell’Era.
Circostanze logistiche favorevoli mi hanno fatto preferire la data di Novara a quella di Milano che ci sarà tra un mese. Siamo all’interno del Nu – Arts and Community, un festival multidisciplinare che si muove tra teatro, danza, arti visive e ovviamente musica dal vivo, il tutto con uno stretto legame con i luoghi di interesse storico della città.
Quello coi Calibro è l’appuntamento conclusivo dell’edizione di quest’anno, e non essendoci mai stato ho avuto modo di apprezzare particolarmente la location, col palco posizionato all’aperto in un piacevole spazio erboso, spazio e visibilità sufficienti a godersi il concerto in tutta tranquillità. Siamo tecnicamente già in autunno, la temperatura questa sera è scesa di qualche grado, ma tutto sommato si respira ancora un’atmosfera estiva, così da essere effettivamente contento della scelta fatta, di essere qui piuttosto che nella bolgia dell’Alcatraz.
Niente apertura, si inizia poco prima delle 22 su un palco dall’allestimento sobrio, uno schermo alle spalle dei musicisti come unico orpello, che proietta però solo il logo del gruppo e qualche immagine fissa.
Inizio all’insegna del passato, con un trittico di vecchi brani del repertorio “Noir”: “Glory-Fake-Nation”, “Stainless Steel” e “Piombo in bocca” sono potenti e godono di un’ottima resa sonora (qui c’è la mano di Tommaso Colliva, presente anche stasera e a tutti gli effetti quinto membro della band), ideali per acclimatare il pubblico prima di proporre i nuovi brani: le varie “Apnea”, “Dinamometro”, “Extraordinaire”, “Ottofante” (la più interessata e variegata dal punto di vista musicale), “Gun Powder”, “Mompracem”, sono già ben integrate nell’economia dello show e sono perfette per valorizzare le capacità musicali di ciascun elemento, oltre che la loro straordinaria forza d’insieme.
Quel che colpisce dei Calibro 35 è che, nonostante siano composti da alcuni dei migliori musicisti italiani in circolazione, non possono essere ridotti alla definizione di “supergruppo”. L’accento è sulla coesione d’insieme, non sulla bravura dei singoli. Sin dall’esordio la loro forza è stata la notevole agilità delle composizioni, che dalla tipologia della “musica da film” hanno mutuato la presenza di un tema orecchiabile, riconoscibile e reiterato all’interno del brano, su cui vengono poi ricamate tutte le variazioni possibili. È un modus operandi che è proseguito anche sul nuovo disco, nonostante i brani siano nel complesso più elaborati e contengano una buona dose di suggestioni differenti.
L’impressione, osservandoli in azione, è che da una parte il lavoro sui pezzi di Morricone li abbia resi più raffinati nella scelta dei suoni e nell’imbastire gli arrangiamenti; dall’altra parte però, l’essere finalmente tornati al proprio repertorio ha donato al concerto una sorta di tensione liberatoria che non avevo sperimentato nel precedente tour.
Eseguire le partiture del “maestro” aveva in parte ingessato delle esecuzioni di per sé ottime. Questa sera appaiono più rilassati, più liberi di lasciarsi andare, di accelerare, di lavorare sui Synth piuttosto che di rendere più robusta la sezione ritmica o di mettere i fiati in primo piano.
Con un solo brano di Scacco al maestro in scaletta (“Trafelato”), i quattro cambiano più volte le carte in tavola, passano dai temi cinematografici ad inattese divagazioni che vanno dal Jazz al Progressive, compresa qualche sfumatura di Post Rock. E hanno tutti diverse occasioni di mettersi in mostra, pur sempre salvaguardando la somma delle parti: Fabio Rondanini varia tantissimo i ritmi e le intenzioni, Roberto Dragonetti si muove di conseguenza e si fa notare per il suo stile potente, adatto quando si tuffano in potenti cavalcate.
Massimo Martellotta è chitarrista abile e versatile, per cui tra pennate furiose a fraseggi sofisticati, fino ad alcune incursioni di Synth, vengono dipinti la maggior parte dei paesaggi sonori evocati dal gruppo. Enrico Gabrielli, che dei quattro è forse l’elemento più in vista (non ci sono leader, qui dentro, ma a livello di immagine è sicuramente lui il volto più riconoscile, anche solo perché è quello che parla col pubblico), svolge la gran parte del lavoro alle tastiere, ma nei momenti in cui tira fuori sassofono e flauto si sale inevitabilmente te di tono.
Non ci sono tempi morti, lo show ha un ritmo incalzante, coi brani che si susseguono uno dopo l’altro in una lunga sequenza che non lascia tregua. Il finale è poi particolarmente coinvolgente, con “Vendetta” e “Milan au 30ème siècle”, apice dell’intensità prima dei bis all’insegna dei classici: “Notte in Bovisa” e “Giulia Mon Amour”.
Non c’è bisogno di ribadire quanto siano bravi, visto che oltretutto sono in giro da una vita. Se però non li avete ancora visti in questo tour, cercate di non perderli.
Photo credits: Raffaele Concollato