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REVIEWSLE RECENSIONI
25/03/2018
Randy Bachman
By George, By Bachman
Bachman, affronta il songbook di George Harrison, evitando operazioni di copia – incolla, e veste canzoni note con un abito del tutto nuovo, confezionato dalla prestigiosa sartoria della casa, che prevede chitarre rombanti e un approccio decisamente più rock rispetto agli originali

Dopo tre anni di silenzio (il suo ultimo lavoro, Heavy Blues, è datato 2015), Randy Bachman (The Guess Who, Brave Belt, Bachman-Turner Overdrive) torna con un nuovo album. E stupisce, ma forse nemmeno tantissimo, che si tratti di un disco tributo dedicato all’amico George Harrison, che come il vecchio leone canadese, quest’anno avrebbe compiuto settantacinque primavere.

L’amore di Bachman per i Beatles è cosa nota e risale addirittura ai tempi della British Invasion, quando, giovanissimo, il rocker canadese assistette al passaggio dei Fab Four negli studi dell’Ed Sullivan Show. Nel tempo, il quartetto di Liverpool è sempre stata fonte di ispirazione, oggetto di un culto personale che Bachman ha coltivato cimentandosi in svariate cover e suonando in Ringo Starr and His Third All Starr Band, Volume 1, terzo album dal vivo a firma Ringo Starr, pubblicato nel 1997.

Accompagnato da quel gruppo di musicisti che ormai da lungo tempo formano la sua backup band (il batterista Marc LaFrance, il bassista e tastierista Mick Dalla-Vee, e il chitarrista Brent Knudsen), Bachman ha deciso di entrare in studio di registrazione e di dare una struttura organica alla sua passione per i Beatles e, nello specifico, a quella per il songbook di George Harrison, affrontando con gusto personale un filotto di canzoni a dir poco leggendarie.

Operazione commendevole, per carità, e in un certo senso anche molto coraggiosa, dal momento che alcune delle canzoni in scaletta sono autentici gioielli, a metter mano ai quali si rischia la classica figuraccia. Bachman, che non è certo uno sprovveduto, evita operazioni di copia – incolla, e veste canzoni note con un abito del tutto nuovo, confezionato dalla prestigiosa sartoria della casa, che prevede chitarre rombanti e un approccio decisamente più rock rispetto agli originali.

Se la mentalità con cui Randy, ancora grintosissimo nonostante la veneranda età, affronta la leggenda di canzoni immortali è sicuramente da apprezzare, lo è un po' meno il risultato finale. Think For Yourself (da Rubber Soul), irruvidita da un suono decisamente peso, ne esce dignitosamente, al pari di Handle With Care (The Traveling Wilburys), forse la più fedele all’originale, mentre la versione quasi hard rock di Don’t Bother Me (da With The Beatles) e quella grintosa di I Need You (da Help!) sono le cover più azzeccate del lotto.

Il resto, però, lascia molto a desiderare. While My Guitar Gently Weeps è stravolta in chiave heavy blues, perdendo tutto il suo afflato malinconico e salvandosi solo per un grandissimo assolo di Walter Trout, ospite nel brano. Bachman, però, è riuscito a fare anche di peggio. Ascoltare Here Come The Sun, letteralmente sfregiata da una reinterpretazione in chiave reggae, è un colpo al cuore anche per il più comprensivo e tollerante fra gli ascoltatori; e lo stesso dicasi per Something, privata di quella leggiadria melodica che l’ha resa uno dei gioielli più luminosi del songwriting harrisoniano.

Un disco, dunque, non granché centrato, che piacerà poco ai fans di Bachman e ancor meno a quelli dei Beatles. Non so se George avrebbe apprezzato, ma francamente dubito. Di sicuro gli sarebbe piaciuta l’unica canzone originale scritta da Randy, che apre e chiude il disco. Between Two Mountains, attraversata dallo stesso mood pacifista di My Sweet Lord, riscrive in bella calligrafia i punti salienti dell’Harrison pensiero: sitar, chitarra languidissima e una melodia irresistibile. Un po' poco per aggiudicarsi la sufficienza.