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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
Bufo Alvarius, Amen 29:15
Bardo Pond
1995  (Drunken Fish Records)
ALTERNATIVE PSICHEDELIA NOISE / GARAGE / INDUSTRIAL
all RE-LOUDD
24/10/2017
Bardo Pond
Bufo Alvarius, Amen 29:15
Se certa psichedelica classica costruisce colle sue progressioni immagini cosmiche, i Bardo Pond disegnano, invece, visioni fluttuanti dell’animo, quasi degli stati meditativi equidistanti dalla realtà e dalla morte.
di Vlad Tepes

I Bardo Pond, da Philadelphia, (John e Michael Gibbons, chitarra; Clint Takeda, basso; Joe Culver, batteria, Isobel Sollenberger, voce) derivano il proprio nome dal Libro tibetano dei morti, in cui il bardo (uno dei sei) è, secondo il buddismo, uno stato di coscienza intermedio fra vita e morte. Tale riferimento, addizionato a quello relativo al Bufo Alvarius, varietà d'anfibio americano che secerne sostanze allucinogene, può già suggerire il tono della musica del gruppo.

Lo strumentale “Vent” è, forse, la sintesi esplicativa dell'estetica dei Bardo Pond: il viluppo inestricabile e fragoroso d'una chitarra offre il centro di gravità attorno a cui orbitano i vari altri strumenti che, a turno, si concedono alcune divagazioni consistenti in un breve assolo della seconda sei corde o nelle diversioni della batteria, quasi dimentiche di un ruolo d'interazione con il resto della band. Il pezzo, asserita esteticamente l'assenza di qualsivoglia finalità melodica, finisce coerentemente ex abrupto. Se, apparentemente, la struttura sembra simile alle jam dei Subarachnoid Space, essa, ad un più attento ascolto, se ne differenzia sia perché nelle composizioni di Mason Jones sono proprio le percussioni a dettare i frequenti cambi di ritmo, sia per il suono, dagli accenti  volutamente noise; “Adhesive”, “On A Side Street” (in cui i sommessi recitativi vengono sommersi dalla divaricazioni della chitarra e della batteria) o “Capillary River” (dove a fatica la voce emerge da un groviglio elettrico di fondo) confermano tali qualità.

“Back Porch”  e “No Time To Waste”, sorta di blues degenerati sempre sul punto di accartocciarsi su se stessi, si ritagliano uno spazio diverso nell’ambito dell’opera, ma con la monumentale “Amen” (29’20’’) si ripiomba nel consueto flusso di coscienza rumoristico: lo scampanio iniziale è presto soppiantato da implacabili e diuturni assoli chitarristici, talora ridotti a semplici crepitii o a feedback: li accompagna esclusivamente una languida linea di basso e i bisbigli indefiniti della Sollenberger; i trenta minuti potrebbero in realtà estendersi smisuratamente, poiché, come la voce in un mantra religioso, le sonorità entrano gradatamente in sintonia col nostro pulsare interiore.

Se certa psichedelica classica costruisce colle sue progressioni immagini cosmiche, i Bardo Pond disegnano, invece, visioni fluttuanti dell’animo, quasi degli stati meditativi equidistanti dalla realtà e dalla morte.