Viviamo un’era in cui sembrerebbe che tutto sia a portata di tutti, ma il paradosso è che quando all’interno di tale tutto, in realtà artificioso, si cerca qualcosa di poco noto, questo qualcosa diventa difficile da sviscerare, quasi introvabile più di un tempo, ove esistevano consapevolmente davvero palesi difficoltà a reperire prodotti, informazioni. Così nell’epoca in cui internet dovrebbe aver sdoganato queste situazioni, a volte ci si trova a star peggio di prima, perché risulta quasi impossibile rintracciare un’opera di cui non si trovano notizie accurate di primo acchito, ma solo indicazioni molto superficiali e non si è più abituati al sacrificio della ricerca.
Al giorno d’oggi gli approfondimenti si scontrano incredibilmente con l’istantaneità della rete e dei social e se pure l’autore sembra essersene dimenticato nelle interviste e nelle scalette dal vivo, il rischio è quello di veder sparire tale opera dal radar. Questo è ciò che accade ad esempio per un LP del 1981, intitolato semplicemente Branduardi, che pur essendo solo un piccolo pezzo del puzzle creativo del musicista milanese, ne rappresenta una svolta artistica molto ispirata, abbinando a una produzione moderna per quei tempi una manciata di canzoni degne di essere ricordate per musiche e liriche.
“…Son l'amico che hai dimenticato
Stasera io verrò
Son l'amico che tu non hai invitato
Ma stasera ci sarò
In mezzo a tanta confusione
Senza maschera verrò
Sorriderai scoprendomi
Ma in silenzio resterò
Con occhi chiari ti guarderò…”
Proprio il testo dell’iniziale languida "L’amico" sembra uno scherzo del tempo e del destino. Le parole lasciano trasparire un tentativo di riappacificazione e perdono; aleggia, però, chiaramente, un sentimento di delusione per il trattamento subito. Ebbene oggi mi piace immaginare che siano rivolte dal disco al cantautore e ai suoi fan: “E’ tempo di riscoprirmi!”
Oltre a essere uno spartiacque tra le opere più famose del polistrumentista pubblicate, vedasi Cogli la prima mela del ’79, e una fase più introspettiva che attraverserà tutti gli anni ottanta e porterà a Cercando l’oro, a svariate colonne sonore inframmezzate da Branduardi canta Yeats prima del ritorno al successo con il frizzante Si può fare, questo album è di un livello qualitativo straordinario, ricco di spunti. L’autore de "La pulce d’acqua" attingerà da questi arrangiamenti e riprenderà pure parte delle melodie (nello specifico vengono utilizzati estratti da "La cagna" e "Vola") per L’infinitamente piccolo (2000), sbalorditivo lavoro che mette in musica la storia di San Francesco e rimane tuttora straordinariamente il suo disco più venduto.
Una nota particolare la merita la copertina che è quanto di più geometrico e rigido si possa trovare nell’attività del “menestrello che suona al ritmo del tempo che va”. A fronte infatti di un uomo dedito a far fluire liberamente nelle sue composizioni tutte le influenze, dal folk al celtico fino all’etnico con sfumature pop, miscelandole tra modernità e tradizione antica, troviamo un algido quadrato color porpora, composto da nove quadrati più piccoli, ognuno dei quali formato da altrettanti ancora più minuti. Si può comunque trovare in tal freddezza anche una parvenza di fascino, considerando che il numero delle canzoni presenti nella raccolta è proprio nove.
La filastrocca "Girotondo" e la fiabesca "La collina del sonno" sono tra le più rappresentative a livello lirico e melodico: Branduardi affianca, come d’altronde nel resto della produzione, la moglie Luisa Zappa nella stesura dei testi, mentre l’architettura dei due brani vive l’interessante dicotomia tra la tecnologia dei sintetizzatori Prophet 10, Korg Vocoder, Arp Odissey e gli strumenti tradizionali quali chitarra acustica, classica, violino per arrivare a quelli popolari, spesso di origine africana, come mbira e cabaza.
Uno dei pezzi più riusciti è "Musica", dal titolo già di suo didascalico, che all’epoca fu anche il singolo trainante l’intero LP, pervaso magicamente da un arrangiamento reggae e ben strutturato nella ritmica grazie a un imponente uso di marimba, di cui Gianni Zilioli rimane un maestro eccelso, e percussioni, che vedono, oltre all’ottimo Andy Surdy, la partecipazione del Re delle orchestrazioni, Sir Paul Buckmaster.
“Per alcune canzoni, come "Have Mercy on the Criminal", devo tutto a Paul. Nessuno ha architettato arrangiamenti d’archi di tal fattura per composizioni pop rock. Ecco perché Buckmaster è così straordinario”.
Non esiste migliore introduzione al mitico compianto direttore e produttore britannico di madre italiana, che quella fatta dalla superstar Elton John. Le intuizioni di quest’incredibile personaggio hanno fatto la differenza per alcuni dischi epici dell’ideatore di "Rocket Man" e dimostrano quanto Branduardi possedesse quel quid dei grandi artisti, atto a smuovere vere icone del mondo musicale e convincerle a offrire i loro servigi.
Insieme all’altro “conduttore” Godfrey Salmon, Paul Buckmaster, famoso anche per essere un notevole violoncellista e compositore, instilla una sonorità ricercata e accetta lo sconfinamento nella world music, lui che è di madre napoletana e all’interno della sua personalità rivive la storia di Dr. Jekyll e Mr. Hyde, diviso tra la rigida solennità inglese e la coralità partenopea.
Ad arricchire il già fornito cast di musicisti-fra cui il tastierista Franco Di Sabatino in forma stellare- si aggiunge un personaggio che con le sue doti ha fatto lievitare le performance di Guccini e Paolo Conte ed è entrato per sempre nell’olimpo degli dei delle sette note per essere membro originario degli Area. Stiamo parlando di Ares Tavolazzi: il suo basso Music Man senza tasti allieta quel piccolo capolavoro che è "Il Disgelo" e dona un’atmosfera onirica alla favolosa "I tre mercanti", metaforica cronistoria ondeggiante di un viaggio notturno nel deserto, che sembrerebbe non portar mai a una destinazione finale, ma potrebbe aver senso anche solo per l’esperienza maturata nell’infinito percorso.
“Prima volevo sempre aggiungere… in “Branduardi” ho cercato di togliere…”
In questa rara dichiarazione riguardo all’album, che proprio quest’anno spegne quaranta candeline, Angelo prova con umiltà a spiegare il segreto presente in questa raccolta, facendo suo il motto “less is more”, anticipando molto i tempi di questa concezione musicale.
Eleganza, buongusto, rispetto per la tradizione, predilezione per l’antico, glorificazione del barocco sono tutte caratteristiche che troviamo all’interno dell’arte del “violinista” nato a Cuggiono, ma genovese d’adozione, essendosi trasferito dopo pochi mesi di vita nel capoluogo ligure. La sua forza permane quella di trasportare tali referenze nel presente per confezionare un prodotto completamente nuovo, ricco delle più svariate influenze. L’esempio più eclatante di tale intuizione la troviamo nel doloroso realismo de "La cagna", dove il maestro fa tutto da solo, e con semplicità ricama invece tristi ricercate melodie con flauto di pan e flauti dolci accompagnati da chitarra classica "Ovation" a circuitazione stereo e un turbinio di percussioni, campanelli, fino alla cuica, particolare tamburo di origine afro-brasiliana.
Angelo Branduardi rimane uno degli autori italiani più amati all’estero, dove viene particolarmente apprezzato il suo sguardo al passato con gli occhi spalancati sulla musica odierna come carte assorbenti: esemplare in questo senso è il suo ultimo prodotto in studio di registrazione, "Il Cammino dell’anima", ispirato all’opera originale di Ildegarda di Bingen, mistica medievale tedesca.
“Credo che i miei fan stranieri mi considerino profondamente italiano, ma un italiano del rinascimento. Poi Immagino che aiuti l’aspetto fisico, ma non l’ho mai coltivato volutamente per diventare un personaggio…”
Certamente tutti gli appassionati hanno apprezzato in lui la spiccata sensibilità, la sua capacità di vedere al di là del muro, andare oltre e precorrere i tempi.