Lida Husik, da Washington, appartiene, quasi inevitabilmente in Italia, a quella cerchia di artisti destinati alla clandestinità sonora (per l’impossibilità fisica di procurarsene gli album) e che, col tempo, vengono derubricati a flatus vocis, ovvero a figure di cui si parla o a cui si fa riferimento solo perché qualche benemerito, da lidi musicalmente propizî, ne ha parlato con reverenza nei decenni scorsi. Si verifica, quindi, quel curioso fenomeno, di cui parlava Gianfranco Contini, per cui storici valenti stilano ricchissime bibliografie su autori di cui non hanno letto nemmeno una riga. Gli album proposti (i primi tre, il vertice della sua creatività) cercano di colmare questo vuoto.
La Husik gravitava attorno a personaggi come Don Fleming (militò per breve tempo nei Velvet Monkeys) e Mark Kramer (duo che ritrovammo nei B.A.L.L.); grazie agli arrangiamenti minimali di quest’ultimo (anche alla chitarra) nell’esordio Bozo (capolavoro) essa presentò un pop psichedelico caratterizzato da liriche recitate laconicamente, rese ancor più straniate dall’uso dell’organo e da inserzioni vocali; la sua psichedelia apparentemente può richiamare quella di Azalia Snail, ma, ad esame più attento, se ne distingue per un pessimismo più marcato, per l’uso tradizionale di batteria e chitarra e per il tono che, alieno dalle gioiose sfasature di Snail, raggiunge la rarefazione psichedelica in virtù proprio di quella indefinibile languidezza vocale che permette atmosfere sospese come materia di sogno in “Billboard”, “Mom”, “Hitchhiker” e nella bellissima “Diamond Day” nonché di formalizzare deliziosi quadretti come “Halloween” e “Snow”.
In Your Bag i pezzi si allungano e vengono screziati dall’elettronica (nel brano eponimo e in “The Match From Mars”), come si notava nel precedente Farmhouse. Notevole, inoltre, la varietà offerta: alle ballate “Whirlybird” e “Ship Going Down” ed ai toni danzerecci di “Your Bag” (con inserzioni vocali e percussioni à la Laurie Anderson) si affiancano episodi più complessi: “Toy Surprise” (le iniziali cadenze infantili presto si accendono in una linea chitarristica ripetitiva ed ipnotica), la bellissima “Marcel” (anche qui la ballata decade in un affascinante mantra materiato dal blocco sonoro della sei corde, da canti eterei, da tasselli vocali), “The Match From Mars” (impasto di cadenze elettroniche e dance, registrazioni di rumori dal vero, recitativi …) donano spessore all’intera operazione.
The Return of Red Emma, come lascia intuire il titolo, segna un ritorno alla forma canzone di Bozo. Husik reitera i suoi quadri declamati con toni quasi apatici, e vi ritrova la naturale semplicità degli inizi, appena venata dagli effetti di tastiere e fiati, grazie agli arrangiamenti davvero essenziali (sempre di Kramer). “Suicide Sedan”, “Earthquake Blues” (con ruttino finale), “Pyramus and Thisbe”, “Match Girl” alcuni degli episodi più eclatanti.
La multi strumentista proseguirà la carriera alternando il registro di Your Bag (nelle collaborazioni con Beaumont Hannant) a quello intimistico, a lei più congeniale: con maggior consapevolezza musicale e produzioni sempre di buon livello, ma forse definitivamente deprivate dell’aura delle prime tre prove.