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REVIEWSLE RECENSIONI
21/03/2018
Jimi Hendrix
Both Sides Of The Sky
Una raccolta che coglie Hendrix libero di provare, sperimentare e divertirsi con gli amici, in un filotto di registrazioni non certo decisive, ma comunque interessanti per delineare l’evoluzione di un suono che, nonostante tutti i tentavi di emulazione, resta a tutt’oggi incredibilmente unico

Tra dischi live, registrazioni in studio, bootleg ufficiali, compilation e box set, la discografia postuma di Jimi Hendrix sembra non avere mai fine. Both Sides Of The Sky è, infatti, l’ennesima pubblicazione (terza raccolta di materiale in studio in otto anni, dopo Valleys Of Neptune del 2010 e People, Hell and Angels del 2013) curata dalla sorellastra del chitarrista Janie, a dimostrazione che gli archivi del compianto musicista riservano (e riserveranno?) ancora molte sorprese.

Le domande che sorgono spontanee di fronte a operazioni di questo tipo, sono sempre le stesse: questo materiale valeva la pena di essere pubblicato? Vengono rispettate l’immagine e l’integrità artistica del chitarrista? Si offre al pubblico un prodotto di un qualche interesse o siamo di fronte solo al mero sfruttamento di un marchio?

A onore del vero, bisogna dire che anche le precedenti uscite curate dalla Experience Hendrix contenevano un repertorio di buona qualità, che testimoniava, lungi dallo sciacallaggio fine a se stesso, l’incredibile talento e la creatività di una delle figure rock più decisive e influenti del secolo scorso.

Lo stesso di può dire per il nuovo Both Sides Of The Sky, una raccolta che, se da un lato, non aggiunge nulla di nuovo a quanto conosciamo sul massimo sistema hendrixiano, ha comunque il merito di proporre alcune curiosità e di regalare qualche ottima canzone.

Il disco contiene incisioni effettuate tra il gennaio del 1968 e il febbraio del 1970, e registrate quasi interamente ai Record Plant di New York, con il contributo dell’Experience (Noel Rending e Mitch Mitchell) o della Band Of Gypsys (Billy Cox e Buddy Miles), e in qualche occasione, con la partecipazione occasionale di amici di Hendrix, ben disposti a duettare con l’estroso chitarrista e dar fuoco alla miccia dell’improvvisazione.

Tra questi, Stephen Stills, che suona l’organo e canta su $20 Fine e su Woodstock, leggendario pezzo di Joni Mitchell, ripreso anche dai CSN&Y, qui riproposto in una versione suntuosa, un Johnny Winter in formissima, che incrocia la propria sei corde con quella di Hendrix nel classico blues The Things That I Used To Do di Guitar Slim, e soprattutto il cantante e sassofonista Lonnie Youngblood che dà vita a un torrida versione di Georgia Blues, probabilmente il momento migliore della raccolta. Ottima la versione di Mannish Boy, curiosa la performance di Hendrix al sitar elettrico nelle nebbie psichedeliche di Cherokee Mist, interessante la riproposizione di Lover Man (era già presente in Valleys Of Netptune), qui spedita come un treno in corsa, grazie anche alla notevole prova di Billy Cox e Buddy Miles, che assecondano, senza risparmiarsi, la velocità adrenalinica di Jimi.  

Questo il meglio di una raccolta che coglie Hendrix libero di provare, sperimentare e divertirsi con gli amici, in un filotto di registrazioni non certo decisive, ma comunque interessanti per delineare l’evoluzione di un suono che, nonostante tutti i tentavi di emulazione, resta a tutt’oggi incredibilmente unico. Se non siete particolarmente interessati all’artista, questo disco non aggiungerà nulla a ciò che di Hendrix è doveroso conoscere, mentre per tutti gli appassionati e i completisti, Both Sides Of The Sky, vista la qualità della proposta, rapresenta l’ennesimo tassello imperdibile di un puzzle sonoro che non vorremmo avesse mai fine.