I Clutch sono una sicurezza: impermeabili a mode e alchimie stilistiche, è dal 1993, anno in cui la band originaria del Maryland rilasciò il primo album in studio, che non sbagliano un colpo. Vado a memoria, ma non ricordo, infatti, un disco che mi abbia fatto rimpiangere i soldi spesi, né una caduta di tono o una concessione, benché minima, all’ambiguo mondo del mainstream.
Anzi, a ben vedere, la loro offensiva discografica, e uso il termine “offensiva” non a casaccio, si è fatta ancor più inesorabile, tanto che Book Of Bad Decisions si pone come il terzo gioiello sfornato negli ultimi cinque anni, dopo i cazzutissimi Earth Rocker del 2013 e Psychic Warfare del 2015.
Questa miscela esplosiva di fango, cemento armato, sudore, metanfetamine, hard rock, blues, stoner e grunge non ha perso negli anni un briciolo del suo fascino virile e del suo impeto guerrigliero, giungendo di nuovo alle orecchie degli ascoltatori con la sua implacabile ferocia. Quindici canzoni che soffiano rabbia e adrenalina come benzina su fuoco, per una scaletta che tracima cattiveria e non risparmia colpi bassi: un assalto elettrico corroborato dalla sezione ritmica martellante, da riff urticanti e solfurei, da assoli brevi e letali come una raffica di mitra, e dal ghigno malefico della voce assassina di Neil Fallon.
Gimme The Keys apre il disco con il consueto mood arrembante che aveva aperto anche i due predecessori. Si mettono subito le cose in chiaro: “signori, qui non si fanno prigionieri, continuare nell’ascolto è a vostro rischio e pericolo”. Spirit of ’76 è una martellata sullo zigomo, procede con passo pesantissimo, evocando un florilegio di echi sabbathiani, mentre la successiva title track mostra la faccia sporca e cattiva del rock blues.
Non c’è un attimo di pausa, e da queste parti è davvero difficile pensare di poter tirare il fiato. Neil Fallon e soci si gettano in assalti frontali e corrono sotto i cannoneggiamenti, si esaltano nei corpo a corpo e non mostrano, comunque, il ben che minimo segno di cedimento. Anzi, provano pure a prenderti alle spalle, spiazzando con il funky corrazzato di In Walks Barbarella, che fonde estetica Blaxpoitation ad agguerritissime sportellate elettriche, o con il fragore di Vision Quest, sanguinoso rock’n’roll da combattimento con il coltello fra i denti e la sciabola in mano, o con l’urlo belluino che sigilla l’incedere minaccioso della conclusiva Lorelei.
Si potrebbe azzardare un appunto sull’eccessivo minutaggio del disco, tanto lungo da sfiorare l’ora, se non fosse che queste canzoni suonano tutte necessarie e vibrano di intensità e scellerata ribalderia fino all’ultima nota.
Quindi si astengano orecchie dolci, frequentatori del pop e anime romantiche: farsi travolgere da quest’onda sonica senza un’adeguata armatura potrebbe essere una pessima decisione. E finireste nel libro dei Clutch, cosa che francamente non vi consiglio.