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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
14/04/2018
Queen
Bolliti e lessati
Inauguriamo oggi una nuova serie nella sezione ReLoudd: "Bolliti e lessati", ovvero tutti quegli artisti che ormai dovrebbero darsi all'apicoltura. Partiamo col botto, grazie al nostro Alessandro Menabue.
di Alessandro Menabue

Ve li ricordate i Queen sul palco londinese del Live Aid, quando con un set fulminante riuscirono ad infuocare gli animi di milioni di persone e a mettere a tacere i loro detrattori? E Freddie Mercury di ermellino ammantato sulle note di God Save The Queen al termine del celebre concerto al Wembley Stadium del 12 luglio 1986? In quegli anni la band dominava le classifiche e riempiva gli stadi, con buona pace della critica che in larga misura detestava il loro rock tronfio, ridondante. Vendevano dischi a quintali e la gente li adorava, dunque avevano ragione loro. Oggi, a più di trent'anni di distanza da quella leggendaria età dell'oro, il gruppo - o meglio, ciò che ne rimane - è ancora tra noi a proporre i vecchi cavalli di battaglia ad un pubblico di incalliti nostalgici di bocca decisamente buona: risulta evidente che chi si è fatto andare a genio Paul Rodgers che cantava We Are The Champions leggendo un gobbo elettronico (sic), è potenzialmente capace di ingollarsi di tutto, pure la Pausini nella veste di nuova vocalist degli Obituary. Il problema è proprio questo: i Queen sono ancora qui ma non dovrebbero esserci da un sacco di tempo.

Inutile girarci intorno, la band avrebbe dovuto cessare di esistere subito dopo il Freddie Mercury Tribute Concert, lo spettacolare show dell'aprile 1992 con il quale Brian May, Roger Taylor e John Deacon celebrarono la figura di Freddie Mercury, prematuramente scomparso pochi mesi prima. Quel concerto, al quale presero parte artisti del calibro di David Bowie, Annie Lennox, Metallica, George Michael, Elton John e Robert Plant, fu la plastica dimostrazione di una chiara evidenza, a dispetto di alcune esibizioni memorabili (quella di Michael in particolare): la musica dei Queen non poteva prescindere dalla voce e dalla sfrontata teatralità del loro frontman. Freddie era insostituibile. L'assunto "uno vale uno" nel rock non ha senso. Occorre sottolineare che, nonostante la grandezza di Mercury come vocalist e performer, è sempre risultata evidente l'interdipendenza tra il frontman e il resto del gruppo: così come Mercury senza il resto della band aveva offerto delle prove soliste abbastanza opache ("Mr. Bad Guy" e "Barcelona" con Montserrat Caballé), risultava chiaro che gli altri tre musicisti, proseguendo l'attività con un nuovo cantante, avrebbero corso il rischio di trascinare la propria carriera dalla leggenda alla macchietta. Che quello fosse un pericolo concreto - che finì puntualmente per concretizzarsi - lo aveva capito il bassista John Deacon che nel 2004 scelse di farsi da parte quando May e Taylor decisero di ridare vita al marchio Queen, prima con Paul Rodgers (ex cantante dei Free e dei Bad Company) e poi - dal 2011 - con Adam Lambert. Negli ultimi tre lustri, tra "best of" e live che sono andati a raschiare il fondo del barile del loro periodo storico, i Queen hanno prodotto un solo disco di inediti - The Cosmos Rocks, accolto tiepidamente dal pubblico e peggio ancora dalla critica - dedicandosi prevalentemente all'attività dal vivo che li vede ancora registrare parecchi sold-out.

Dopotutto, come già sottolineato, non è difficile radunare alcune migliaia di fan inconsolabili privi del minimo spirito critico. Eppure, a dispetto dei palazzetti pieni, l'impressione è che i due Queen superstiti più che da un'inestinguibile fervore artistico siano mossi da un calcolo economico decisamente più gelido. "Don't stop me now". E invece no, qualcuno li fermi.