Quello del novembre 2021 al Bloom di Mezzago era stato il loro primo concerto nel nord Italia e non ne abbiamo avuto un altro fino a questa sera. L’Oscura Combo Romana dei Bobby Joe Long’s Friendship Party, oltretutto, dal vivo suona molto poco per cui dobbiamo già ritenerci soddisfatti se abbiamo avuto modo di vederli due volte in meno di due anni.
Dall’ultima volta sono successe un po’ di cose: la loro promessa “Presto uscirà roba nuova” con cui avevano salutato il pubblico al termine del concerto del Bloom si è presto concretizzata in un nuovo disco, il quarto della loro carriera. Aoh! è uscito lo scorso giugno e non è forse esagerato definirlo la loro prova migliore fino a questo momento: maggiormente legato alla forma canzone, dove le sonorità Wave sono declinate attraverso una maggiore varietà di soluzioni e di arrangiamenti. Si tratta di un lavoro complessivamente molto fruibile, che allo stesso tempo non abbassa la qualità dei testi, sempre immersi in una periferia romana crepuscolare ed evanescente, ambientazione da film horror ed il solito citazionismo cinematografico e letterario mai fine a se stesso, ma ben radicato in un vissuto preciso e punto di partenza per riflessioni ironiche ma profondissime sulla realtà contemporanea.
Sarà forse per questo, per questa complessità tematica che li avvolge, che i BJLFP non sono mai andati oltre l’entusiasmo suscitato in un piccolo zoccolo duro di fan, quasi che la particolarità della proposta andasse ad annullare un linguaggio musicale, che sin dagli esordi pareva avere tutte le carte in regola per coinvolgere una più larga fetta di pubblico (si sa che l’effetto nostalgia da noi ci azzecca sempre).
Resta che Aoh! è stata una delle migliori uscite italiane dello scorso anno e che i loro autori, grandi numeri o meno, si sono ritagliati un ruolo sempiterno nella storia musicale del paese.
Il Bellezza stasera non è pieno ma l’affluenza è comunque soddisfacente e fornirà la giusta cornice di movimento e partecipazione.
In apertura gli speaker diffondono una magniloquente rilettura elettronica del tema principale di Twin Peaks, logico preludio a “Chi ha ucciso Laura Palmer?”, che è anche il pezzo con cui si apre il nuovo disco. La formazione, rispetto all’ultima volta, è diversa: alla chitarra c’è il solo Arthur Ciangretta (il nome è ovviamente un altro brillante omaggio alla cultura popolare, chi ha visto Peaky Blinders lo sa) e non so se l’assenza di Romolo Tremolo sia dovuta a motivi logistici o se invece non faccia più parte del progetto. Ted Exploi appare riconfermato al basso mentre la novità riguarda la batteria, che questa volta non è elettronica bensì suonata da Danilo Menna (in questo caso non c’è un nome d’arte e durante le presentazioni viene indicato in questo modo; anche in questo caso, non so se dipenda dal fatto che ricopra un ruolo estemporaneo o se ci siano invece altre ragioni).
Henry Bowers, capelli all’indietro pettinati a codino, look chiodo e occhiali da sole che lo rendono vagamente simile a Dave Gahan, è come al solito mattatore assoluto. Il suo stile declamatorio, la sua gestualità ridotta al minimo ma in qualche modo ieratica, il suo non prendersi troppo sul serio e allo stesso tempo giocare col suo personaggio (sarà anche involontario, ma il suo non parlare mai tra un pezzo e l’altro, nonché la sua totale impassibilità di fronte alle richieste del pubblico che, soprattutto nel finale, ha urlato i titoli di qualunque canzone del loro catalogo, hanno un bell’effetto sulla sua presenza scenica).
Il nuovo assetto, a mio parere, beneficia la resa complessiva: la presenza del batterista dona ai brani una potenza fino ad allora inedita, Ciangretta ha quello stile vecchia scuola fatto di distorsioni e assoli ad effetto, Ted Exploi macina note su note, non c’è da stupirsi se questo sia un concerto molto più potente di quello del Bloom, un vero e proprio assalto frontale a tratti Punk, a tratti Metal, sempre ovviamente nel rispetto della Wave Dark ed Electro di cui si sono rivestiti per tutta la sera. Tastiere, Synth e in generale tutta la parte elettronica (il nuovo disco in particolare ne è ricco, con una sua maggiore virata verso sonorità tipicamente Eigthies) sono in base ma l’amalgama con ciò che viene suonato è assolutamente fluido, non ci sono stacchi di sorta, neppure in quei due o tre brani in cui Danilo si prende una pausa e subentra la Drum Machine.
I pezzi del nuovo disco la fanno comprensibilmente da padrone (assieme ad “Obbligo, prassi e filosofia”, uscito a febbraio e al momento ultimo brano pubblicato dai nostri) e dal vivo risultano ancora più efficaci, ne viene messa in risalto tutta la componente anthemica e anche dalle reazioni dei presenti risulta chiaro che “Mortacciloro”, “Vatewave” (geniale tributo a D’Annunzio, con forse quello che è il loro ritornello più cantabile di sempre), “Stuff da Night Starker”, “Notte da Varpurga” e “Bela Lugosi’s Tanz” siano già divenuti classici imprescindibili
D’altronde di vecchi cavalli di battaglia non ce ne sono molti, forse anche perché in quel primo periodo il progetto era visto prettamente nella sua dimensione da studio, e dunque anche così venivano assemblati i brani. Adesso c’è una band vera e propria, per quanto stabile possa essere la line up, e quello da cui questa band parte è essenzialmente l’ultimo disco, senza ovviamente dimenticare le cartucce più pesanti di Semo Solo Scemi: “Glu Glu”, con quella metafora del tacchino divenuta a suo modo iconica, “#Perlasovranitànazionale”, che ha sdoganato Bettino Craxi all’interno del loro Pantheon improbabile di personaggi (non a caso la maglietta con la faccia dello statista milanese è ancora una delle più vendute allo stand del merchandising e anche stasera due di loro la indossano sul palco), “Aka Lawrence D’Arabia”, con i suoi fraseggi orientaleggianti, e ovviamente “Dreaming Ambaradam”, introdotto dall’ormai celeberrimo “grida spagnolesche”, sempre di craxiana memoria.
Qualche brano più datato comunque c’è ancora: “Siderale bellezza upper class”, “Bundytismo”, col suo straniante riff di chitarra che l’ha resa così caratteristica, e ovviamente “Vortice de Totip”, il pezzo che li ha fatti conoscere e che suonato così, in versione full band, risulta davvero efficace, per certi versi anche migliore della versione originale.
A chiudere il tutto arriva infine “Antico Punk inglese e lesa maestà”, suonata veloce e potente come da copione, una mazzata in faccia ai presenti e probabilmente il congedo migliore per una prova brillante, coinvolgente e senza sbavature.
Adesso non resta che attendere il nuovo disco: se uscisse già entro la fine dell’anno non sarebbe niente male.