E’ dal 2000 che Joe Bonamassa è in circolazione, sfornando album, difficile tenere il conto di quanti, con una regolarità disarmante. Forse, allora, è arrivato il momento di fare anche il punto della situazione, un bilancio su una carriera che, piaccia o meno, è in continua crescita.
Sono passati ben 20 anni dall’uscita del suo lavoro più venduto, Blues Deluxe, e proprio partendo da quello splendido disco, il senso di un secondo capitolo rappresenta una sorta di ritorno alle origini, che ha lo scopo, non solo di ridare vita ad alcuni grandi classici che hanno indirizzato l’ispirazione del chitarrista, ma anche, e credo soprattutto, guardarsi allo specchio per capire chi è Bonamassa oggi.
Rileggere il proprio passato per comprendere il presente e guardare al futuro, cogliere il contrasto fra un ventiseienne pieno di arroganza e speranze e un uomo maturo, consapevole e affermato, capire se il fuoco brucia ancora come prima, se è la passione, e non il denaro, a spingere verso un nuovo disco, e, infine, rendere omaggio alle fonti di ispirazione per dimostrare che un grande amore dura nel tempo e non si svende per nulla al mondo.
Blues Deluxe Vol. 2 inizia con una reinterpretazione del classico di Bobby “Blue” Bland "Twenty-Four Hour Blues", attraverso il quale Bonamassa crea subito l'atmosfera perfetta per introdurre la scaletta, tirando fuori dal cilindro uno dei suoi brani più amati, e cantando e suonando da vero califfo (si dice che lo splendido assolo lo abbia suonato sdraiato sul pavimento degli studi di registrazione).
Una grande partenza, seguita da "It's Hard But It's Fair" di Bobby Parker, brano dal ritmo suadente, sfiorato da una leggera vibrazione di New Orleans e da un divertito tocco funky. Il tributo alla vecchia scuola si intensifica con "Well, I Done Got Over It", un rhythm and blues vintage a firma Guitar Slim (una leggenda della chitarra il cui stile ha influenzato decine di chitarristi), che vive nel perfetto connubio fra la sei corde di Bonamassa e una deliziosa sezione fiati, mentre la cover di "I Want To Shout About It" di Ronnie Earl And The Broadcasters ci conduce in un’epoca più recente (1997), con un ritmo scatenato e il bell’assolo di sax di Paulie Cerra.
Poco importa quale decennio il chitarrista decida di frequentare, perché ad ogni modo lo fa con grande eleganza, attitudine e consapevolezza, districandosi meravigliosamente in un territorio comune, ma dal panorama in continua mutazione.
"Win-O" è una versione un po' più dolente del classico di Pee Wee Crayton degli anni '50, resa ancor più fascinosa dal sublime pianoforte honky-tonky di Reese Wynans, "Lazy Poker Blues" attraversa un terreno sonoro simile al caratteristico blues di Stevie Ray Vaughan, anche se l’originale è in realtà tratto dall’album del 1968, Mr. Wonderful, dei primi Fleetwood Mac, quando Peter Green era il leader della band, mentre "You Sure Drive A Hard Bargain" è un omaggio ad Albert King, che registrò il brano alla fine degli anni '60, e "The Truth Hurts" è una intensa rilettura dell'originale di Kenny Neal, arricchita dalle chitarre di Josh Smith (che produce il disco) e Kirk Fletcher.
Tra tutte le belle cover, spuntano anche un paio di canzoni originali, la conclusiva struggente "Is It Safe To Go Home", scritta per Bonamassa da Josh Smith e la travolgente "Hope You Realize It (Goodbye Again)", chitarra, basso, batteria e hammond a spingere forte su un’incandescente groove funky. Una canzone che suona come la classica ciliegina su una torta perfettamente riuscita, dal sapore caldo, avvolgente, elegante, con cui Bonamassa festeggia un punto importante della sua carriera, celebra il proprio passato, omaggia i suoi eroi e guarda spavaldamente verso un futuro che, conoscendo la storia dell’artista, sarà presto denso di nuove pubblicazioni.