Probabilmente senza Jimmy Rogers non sarebbero esistiti i Rolling Stones, gli Yardbirds, i Cream, Jimi Hendrix e i Led Zeppelin, almeno per come li conosciamo. James Arthur Lane, questo il suo vero nome, nasce nel 1924 a Ruleville, in Mississippi, cresce tra Atlanta e Memphis prendendo il cognome del suo patrigno, impara già a suonare la chitarra e l’armonica da teenager esibendosi con alcuni dei più influenti personaggi della zona e si trasferisce presto a Chicago, dove tra i Quaranta e i Cinquanta rivoluziona il concetto del blues introducendo la chitarra elettrica nelle canzoni, l’impronta sonora caratteristica e imprescindibile che conduce in seguito alla nascita del rock and roll. Eccoci quindi a uno dei momenti topici per il mondo della Musica del Diavolo: insieme a Muddy Waters e Little Walter forma quella che si può senza ombra di dubbio definire la più grande Chicago Blues Band della storia.
I suoi classici groove chitarristici caratterizzano le incisioni di Waters e rappresentano l’“epifania musicale” per i giovani cultori della sei corde oltre oceano; Keith Richards, Jimmy Page, Eric Clapton e Jeff Beck devono tanto a tale straordinario luminare del genere, il quale è riuscito a inculcare la passione per questi brani a dodici battute grazie al suo stile inconfondibile, al suo modo di suonare così naturale, significativo e senza orpelli inutili, fotografia di vita per i neri d’America, a volte unico appiglio, in un contesto difficile e oppressivo, al fine di sopravvivere e sperare.
Un uomo umile e generoso, che nei primi anni Sessanta collabora con un altro eroe a stelle e strisce, l’epico Howlin’ Wolf, prima di ritirarsi dal music business per quasi una decade e lavorare come tassista. Apre pure un negozio di vestiti, bruciato e raso al suolo durante le rivolte avvenute a Chicago dopo l’assassinio di Martin Luther King, fino a tornare a esibirsi in pubblico, toccare nuovamente le corde dell’amata chitarra e gradualmente riappropriarsi della sua Arte. Vive di conseguenza i seventies a corrente alternata e a partire dal 1982 ricomincia a girare a pieno regime continuando ad andare in tour e registrare album fino alla morte, nel dicembre 1997, fatalmente avvenuta proprio durante l’ultimazione delle sessioni riguardanti Blues Blues Blues, un lavoro importantissimo che diviene anche il suo testamento sonoro e spirituale.
Blues Blues Blues porta in studio un Jimmy Rogers ri-energizzato grazie ad artisti fantastici come Mick Jagger, Keith Richards, Eric Clapton, Taj Mahal, Jimmy Page, Robert Plant, Lowell Fulson, Stephen Stills e Jeff Healey. Tutti loro hanno sentito profondamente la sua influenza nel corso della carriera e sono desiderosi di rendergli omaggio. Un progetto serio e ben congegnato, dunque, lontano da una logica commerciale, che li prevede ospiti speciali, sinceramente interessati a contribuire al disco di una persona a cui sono magicamente legati.
"John Koenig era il produttore, un tipo davvero in gamba. È stata una bella esperienza lavorare con Jimmy e la band in generale quel giorno, voglio dire, quanto talento! C’erano Kim Wilson e Johnnie Johnson. Un grande, grande onore".
Il mai troppo compianto Jeff Healey ricorda così la registrazione di "Blow Wind Blow", piccolo capolavoro di Muddy Waters, opener dell’album; la canzone si avvale di uno stuolo di musicisti davvero potente, che peraltro costituisce l’ossatura ritmica dell’intero progetto. Si tratta di affermati session men o specialisti dello strumento di lunga fama come Freddie Crawford al basso, Ted Harvey alla batteria, il mitico Johnnie Johnson al pianoforte (l'incredibile suono di Johnson può essere ascoltato in quasi tutti i primi dischi di Chuck Berry), Jimmy D. Lane (figlio di Rogers) alla chitarra e l’istrionico Kim Wilson dei Fabulous Thunderbirds all'armonica. Healey suona la chitarra solista e condivide la voce principale con Jimmy, ma il canto e la sua sei corde sono sempre complementari e non sovrastano mai la classica performance del “padrone di casa”. Il suo assolo, molto sentito, rafforza perfettamente la meravigliosa arpa blues di Wilson.
La produzione di Koenig è impeccabile e conferisce alle varie incisioni un'atmosfera vintage, ma in qualche modo senza tempo. Figlio d’arte, ha avuto il privilegio di lavorare con innumerevoli giganti, da Van Morrison a Otis Spann ed è celebre pure per aver diretto la pionieristica etichetta jazz Contemporary Records per sette anni, dopo la scomparsa del padre Lester Koenig nel 1977.
I classici di un Rogers irrefrenabile e alquanto pimpante riprendono vita per merito di tale impostazione, così "Blues All Day Long", "That’s All Right", "Ludella" e "Goin’ Away Baby" vengono eseguiti come se fosse la prima volta. Clapton si impadronisce con il solito piglio filologico dei primi due brani citati, mentre rispettivamente Taj Mahal e il duo Jagger/Richards splendono nei seguenti. In verità i Glimmer Twins sono letteralmente indemoniati e si cimentano senza remore anche in "Don’t Start Me to Talkin’" un vecchio cavallo di battaglia per Rice Miller, al secolo Sonny Boy Williamson, e "Trouble No More", altra scorribanda nel segno di Waters.
L’impasto vocale tra Jimmy e ancora uno scatenato Taj Mahal costituisce il segreto della ricetta magica da cui si plasma lo standard "Bright Lights Big City", un’altra perla dell’LP che contiene pure intriganti riletture di alcuni capisaldi del calibro di "Ev’ry Day I Have the Blues" e "Sweet Home Chicago". Nella prima composizione si respira il mood originale del suo autore Memphis Slim grazie all’azzeccato special guest, la leggenda Lowell Fulson, contemporaneo di Rogers e autore di hit storiche come "Reconsider Baby" e "Three O’Clock Blues", divenute pietre miliari l’una per Elvis Presley e l’altra per B.B. King.
"Sweet Home Chicago" deraglia vistosamente da una delle versioni primordiali opera di Robert Johnson per allacciarsi a quella un poco caciarona dei Blues Brothers, tuttavia il contributo di Stephen Stills è essenziale per mantenerla su livelli elevati; sempre Stills sorprende per la sua straordinaria e meno conosciuta attitudine blues in "Worried Life Blues", dal repertorio del mitico pianista e cantante Big Maceo Merriweather.
La conclusione è quella che tutti vorrebbero, qualcosa di sorprendente e frizzante per chiudere un grande disco e, come in una favola dal lieto fine, ecco comparire una spiritata rivisitazione di "Boom Boom" di John Lee Hooker, intitolata "Gonna Shoot You Right Down". Questa succulenta delizia mette nello stesso gustoso piatto da assaporare nientepopodimeno che Jimmy Page, Robert Plant, Eric Clapton e un sontuoso Carey Bell all’armonica. É davvero infinita la bellezza di aver ascoltato durante tutta l’opera il cantato e la chitarra di Rogers abbinarsi alle voci e alle rutilanti sei corde di questi artisti appassionati, che hanno intensamente aderito al progetto. Blues Blues Blues risulta il coronamento della carriera di un uomo modesto e rispettoso, il quale ha vissuto il blues come una missione, senza mai mettersi in primo piano, attingendo dalle radici e proponendo nuove declinazioni per un genere che è padre della musica moderna. Le sue canzoni rimangono un esempio, non solo per gli indovinati arrangiamenti e le novità a livello ritmico e melodico, ma anche per l’ironia e la drammaticità delle liriche. Intenso e geniale, questo era e rimane tuttora, il favoloso Jimmy Rogers.
“I ain’t never loved but four women in my life/That’s my mother, my sister, my sweetheart, and my wife.” ("Goin’ Away Baby")
“You told me baby, your love for me was strong/When I woke up this morning, half of this big world was gone.” ("That’s All Right")