A marzo, appena dopo l’uscita dell’ottimo Chemtrails Over The Country Club, Lana Del Rey aveva annunciato un nuovo disco, che sarebbe dovuto uscire a giugno e si sarebbe dovuto intitolare Rock Candy Sweet. Invece, è stato necessario qualche mese in più perché il nuovo album vedesse la luce e con il titolo diverso di Blue Banisters. Un ritardo dovuto, ovviamente, al lavoro di limatura delle canzoni, ma anche alla necessità di ritrovare riservatezza e tranquillità, perdute a causa dei continui attacchi della stampa (alcuni suoi commenti su Donald Trump hanno scatenato un vero e proprio putiferio), che hanno portato la songwriter americana a chiudere tutti i suoi profili social.
L’isolamento ha indubbiamente giovato alla qualità di scrittura e alla lucentezza del suono, visto che questo nuovo disco si colloca un gradino sopra il suo predecessore, per varietà espositiva ed intensità emotiva.
L'album, come di consueto, suona molto malinconico, è pervaso di tristezza e intimismo, sentimenti che sono, da sempre, la maggior fonte d’ispirazione della trentaseienne musicista originaria di New York. Un mood che, evidentemente, le è caro, una predisposizione alla mestizia tanto radicata da spingere Lana a difendere a spada tratta le sue scelte sulle tintinnanti note di pianoforte di Beautiful, brano che evoca addirittura Picasso e il suo periodo blu (“E se qualcuno avesse chiesto a Picasso di non essere triste?" si chiede. "Non avremmo mai saputo chi fosse o l'uomo che sarebbe diventato. Non ci sarebbe il periodo blu).
Una canzone, questa, che testimonia anche l’evoluzione di Lana come cantante: la sua voce suona calda e ricca di sfumature come, probabilmente, mai prima. Quel cantato languido e avvolgente risplende in molti degli episodi migliori del disco, nella title track, ad esempio, o nella stupefacente "Arcadia", senza ombra di dubbio una delle canzoni più intense scritte da Lana negli ultimi anni.
Blue Banisters è, decisamente, un disco più vario, che imbocca strade diverse dai i due album precedenti, Chemtrails... e Norman Fucking Rockwell, lavori che evocavano un certo folk targato Laurel Canyon, qui presente solo in qualche episodio. Una peculiarità dovuta, probabilmente, al fatto che il nuovo disco è una raccolta sia di vecchie canzoni che di nuovo materiale. Alcune di queste tracce ("Nectar Of The Gods", "If You Lie Down With Me"), infatti, risalgono addirittura al 2013 e avrebbero potuto essere incluse nel suo disco del 2014, Ultraviolence.
In questo nuovo capitolo, Lana, poi, utilizza soprattutto il pianoforte, che diviene l’elemento centrale in quasi tutte le canzoni, ad eccezione dell’insolita "Interlude-The Trio", che campiona Ennio Morricone su ritmiche trap, o dell’incedere jazzy di Dealer, in duetto con Miles Kane (The Rascals, The Last Shadow Puppets) e uno degli apici emotivi del disco, in cui Lana, quasi urlando, canta, a proposito di una relazione sentimentale in agonia: “Non voglio vivere, non voglio darti niente, perché non mi dai mai niente in cambio”.
Al disco, probabilmente, avrebbe giovato un minutaggio inferiore, e qualche canzone ("Living Legend", "Nectar Of the Gods") suona rispetto al resto della scaletta, solo come un piacevole riempitivo, senza riuscire a svettare all’interno di un contesto di qualità altissima. Ciò nonostante, con Blue Banisters, Lana Del Rey non solo rifinisce e consolida una stile inimitabile, ma conferma di vivere un momento artistico ispiratissimo, a dispetto, come dicevamo all’inizio, di una costante aggressione mediatica, che invece di ferirla, sembra averla rafforzata sotto il profilo della consapevolezza e dell’integrità.