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REVIEWSLE RECENSIONI
17/06/2018
Wilko Johnson
Blow Your Mind
Immutabile nella sua formula, prevedibile ma sempre efficace, questo rock operaio e sgraziato ha attraversato i pub di mezzo mondo, navigando su ettolitri di birra scura, per giungere a noi, nuovamente intatto nella sua verace irruenza

La premessa è d’obbligo: con Wilko Johnson non riesco a essere imparziale. Non solo per la militanza nei leggendari Dr. Fellgood, padrini di quel dardeggiante rock blues che i libri di storia chiamano pub rock, ma soprattutto per il coraggio e la coriacea grinta con cui ha lottato ed è rimasto in piedi, nonostante tutto.

Wilko Johnson, infatti, è quello che si può definire un miracolato: nel 2013 gli avevano diagnosticato pochi mesi di vita a causa di un aggressivo tumore al pancreas. Nessuna speranza, se non quella di un’invasiva operazione di nove ore e la benevolenza del fato. Nel frattempo, Johnson, insieme all’amico Roger Daltrey decise di pubblicare Going Back Home (2014) una sorta di lascito testamentario, in cui rileggeva parte del proprio repertorio (quello a firma Dr. Fellgood e Solid Senders) con un’energia e una freschezza da far invidia a un ragazzino.

Oggi, Wilko ha sconfitto il brutto male ed è tornato a una vita quasi normale. Non ha smesso di suonare, soprattutto, e questa è la notizia più bella per tutti i fans del mitico chitarrista. I Keep It To Myself, best of del 2017, celebrava uno stato di salute tornato ottimale e ci regalava un compendio imprescindibile sulla carriera di uno dei chitarristi più influenti e seminali di sempre, uno che ha scritto pagine di musica che sono state decisive anche per il punk e che ha influenzato schiere di musicisti, tra cui Paul Weller e John Lydon, per citarne un paio.

Blow Your Mind rappresenta un ulteriore passo avanti nel percorso di rinascita di Wilko, essendo il primo disco contenente materiale originale da trent’anni a questa parte. Più che un disco, però, questa nuova fatica del chitarrista di Canvey Island, è un vero e proprio inno alla vita, il ruggito di un leone ferito che ha sconfitto il più crudele dei nemici e può ancora guardare al futuro con lo sguardo grintoso e irriducibile di chi proprio non sa cosa significhi mollare il colpo.

Immutabile nella sua formula, prevedibile ma sempre efficace, questo rock operaio e sgraziato ha attraversato i pub di mezzo mondo, navigando su ettolitri di birra scura, per giungere a noi, nuovamente intatto nella sua verace irruenza. Se la voce di Wilko risulta un po' fiaccata dal tempo e dalla battaglia contro il cancro, la sua chitarra icastica e tagliente continua a dispensare riff aggressivi, e il boogie a serramanico di I Love The Way You Do, il rock’n’roll saltellante di That’s The Way I Love You, figlio prediletto di un pogo alticcio e festaiolo, o la morsa basso-batteria che stritola il funky rock di Tell Me One More Thing, sono lezioni di coerenza e vitalità che tante giovani rockstar dovrebbero mandare a memoria.

L’innovazione e la fantasia, abitano altrove, ovviamente: qui trovate solo sangue e sudore, e l’esuberanza primitiva che da sempre anima il rock’n’roll. Che gli dei ti proteggano, caro Wilko, nei secoli dei secoli.