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REVIEWSLE RECENSIONI
Blindness
The Murder Capital
2025  (Human Season )
IL DISCO DELLA SETTIMANA POST-PUNK/NEW WAVE ALTERNATIVE
8,5/10
all REVIEWS
24/02/2025
The Murder Capital
Blindness
Anche i Murder Capital hanno scelto la strada dell’evoluzione e del cambiamento e con il nuovo Blindness si spostano dal (nuovo) post punk ad un revival dell’Alternative anni ’90, al confine con il Noise Rock. L'identità artistica è però sempre la stessa e il livello di quanto realizzato è indubbiamente elevato e forse anche superiore a quello di molti colleghi.

Tra tutte le band della cosiddetta ondata del “nuovo Post Punk”, o come diavolo vogliamo chiamarla, i Murder Capital sono da sempre i miei preferiti. Non solo per la scrittura decisamente fantasiosa e versatile, che declina elementi sentiti mille volte in forme e soluzioni mai scontate; ma anche per il fatto che in sede live, ambito dove è difficile trovare act sotto la media, mi sono sempre apparsi come i più preparati: precisi, potenti e con la giusta attitudine sin dai loro primissimi passi.

E poi c’è un altro fattore che secondo me non è da sottovalutare: la tendenza a meditare con attenzione ogni mossa, che si traduce inevitabilmente nel diradare le uscite discografiche, in barba a un’epoca che vorrebbe in continuazione contenuti nuovi da parte degli artisti.

Blindness è solo il loro terzo disco in sei anni di attività, una media in realtà del tutto normale, ma che appare atipica se si pensa al livello di accelerazione a cui ci siamo tutti sottoposti nel corso dell’ultimo decennio, soprattutto dopo il Covid.

 

Il nuovo album degli irlandesi è anche un modo privilegiato per verificare dove sia andato a finire questo nuovo trend con cui ci siamo riempiti la bocca per lo meno dal 2018: che lo si chiami “Nuovo Post Punk” o “Ritorno dei gruppi con le chitarre”, l’impressione è che sia tutto già finito da un po’. E non c’è da sorprendersi, se pensiamo a quanto poco normalmente durano i trend, quelli davvero originali, mentre qui abbiamo a che fare con la copia della copia.

I principali esponenti di questa wave, dopotutto, se ne sono già accorti: Idles e Fontaines d.c. oggi suonano molto diversi rispetto agli esordi; che siano meglio o peggio deve essere oggetto di un discorso a parte, di sicuro c’è che abbiamo a che fare con artisti intelligenti, che sanno evolversi e leggere correttamente le circostanze.

I Murder Capital, per quanto mi riguarda, avevano già fatto così con Gigi’s Recovery, che non aveva molti punti in comune con l’esordio When I Have Fears, e mostrava già come la bontà delle singole canzoni fosse per loro di gran lunga più importante dell’adesione a certi precisi stilemi.

 

Registrato nuovamente assieme a John Congleton, che ha concretizzato un periodo di lavorazione lunghissimo, iniziato subito dopo la fine del tour, Blindness sembra applicare un’altra grande regola della creazione artistica in un’epoca in cui non c’è più nulla da inventare: se si vuole evolvere il proprio stile, occorre semplicemente cambiare i propri punti di riferimento, oppure aggiungerne di nuovi.

James McGovern e compagni in questo hanno seguito la lezione dei connazionali Fontaines d.c., sebbene in maniera molto meno radicale, dando corpo a un’intuizione che circola da un po’ tra gli addetti ai lavori: dopo il Post Punk, potrebbe essere che la nuova moda sia il revival dell’Alternative anni ’90.

Di base una parte dell’album si muove su sonorità più aggressive, chitarre distorte al confine di certo Noise Rock (l’iniziale “Moonshot”, con le sue ritmiche stratificate e i suoni abrasivi, sembra fare il verso ai Sonic Youth) ritmiche intricate e inattese aperture melodiche che arrivano come a dispiegare un aspetto della personalità del quartetto che si trovava già in nuce nel precedente lavoro.

In effetti “Words Lost Meaning”, l’ultimo singolo estratto, col suo mid tempo inaspettatamente radiofonico, non è così diversa da quella “In the Modern World” così rappresentativa della svolta dei Fontaines con Romance. Per “A Distant Life” qualche recensione ha addirittura scomodato i Blur, ma anche senza arrivare a tanto, è evidente che si tratti del loro brano fin qui più “leggero”, luminoso nelle atmosfere (si veda l’intermezzo strumentale dal tema quasi giocoso) e dotato di un’anima Pop che mai ci saremmo aspettati alla vigilia.

 

Qua e là fanno capolino persino degli echi roots: “Love of Country” è una ballata semi acustica leggermente incupita, che racconta i rischi di un patriottismo distorto; “Born Into the Fight” si muove tra piano elettrico e chitarra arpeggiata, con un McGovern splendido in versione crooner; un brano che, come molti degli altri in scaletta, mette in evidenza la bravura della band nel riempire gradualmente i pezzi, caricandoli di intensità senza tuttavia farli esplodere del tutto. “Trailing a Wing”, l’episodio conclusivo, è una sorta di Country apocalittico con un’altra prova vocale magistrale, ennesima volta in cui le atmosfere cupe si fondono con melodie tutto sommato di facile presa.

“The Fall” appare al contrario più vicina alle cose più vecchie, riaffiorano le influenze Post Punk e c’è un bellissimo lavoro di chitarra e sezione ritmica, che la rendono una delle più aggressive. Anche “Swallow” marca una certa continuità col passato, e a conti fatti è forse l’unica della scaletta a non essere strettamente necessaria, anche se si tratta pur sempre di un brano ottimamente scritto (su questo, i nostri ci hanno abituato a certi standard e intendono mantenerli).

A “The Feeling” spetta invece la mia personale palma per il pezzo migliore, con la sua grandiosità epica e il contrasto tra una prima parte rallentata ed elegiaca, e una seconda che deflagra in un tripudio Noise, non senza la solita cura maniacale delle melodie vocali.

Plauso, da ultimo, ad una “Death of a Giant” dai poliritmi Math Rock, con una coda strumentale gestita benissimo, che sembra fatta apposta per essere manipolata a loro piacimento in sede live.

 

Anche i Murder Capital hanno scelto la strada dell’evoluzione e del cambiamento, consapevoli del fatto che, come ho già scritto altrove in una recensione recente, la codificazione dei generi è una bestia che, per quanto difficile, occorre combattere con tutte le forze. Rispetto agli illustri colleghi Fontaines d.c, però, la svolta è stata meno radicale e maggiormente in continuità con un’identità artistica che, arrivati al terzo disco, possiamo ora definire più solida che mai, nonostante anche loro non stiano certo inventando un bel niente.

Non faranno forse lo stesso salto a livello di numeri, ma dal punto di vista artistico in questo momento li trovo superiori. E non di poco.