Dopo un decennio di buon levatura ma senza picchi indimenticabili, i tedeschi Scorpions attraversano la prima metà degli anni ’80 spinti da una baldanzosa ispirazione, che li porta a pubblicare il meglio della loro lunga discografia. L’eta dell’oro della band tedesca si apre Animal Magnetism (1980), disco che inanella un filotto di canzoni dure ma orecchiabili, venate di hard blues e dal suono brillante e potente, e si chiude con Love At Fisrt Sting (1984), lavoro dal tocco decisamente mainstream, che vende benissimo e annovera autentici istant classic quali "Still Loving You" e "Rock You Like A Hurricane".
A metà strada esatta tra questi due estremi, nel 1982, la band tedesca pubblica Blackout, l’album che la critica definisce come il loro capolavoro e che li spinge a conquistare, finalmente, anche il mercato americano, dove gli Scorpions raggiungono la decima piazza di Billboard e conquistano il disco di platino.
Registrato a Nizza, in Francia, e non come di consueto in Germania, e prodotto dal sodale di vecchia data Dieter Dierks, Blackout potrebbe essere definito come il disco della svolta, quello del successo planetario, almeno stando agli impressionanti numeri di vendite, che portano le nove canzoni in scaletta a conquistare riconoscimenti ovunque (tra cui la prima posizione assoluta in Francia). Merito di una formula rodata nei dischi precedenti, ma qui tirata a lucido da un suono limpido e compatto, che alterna riff penetranti e melodie irresistibili, chitarre taglienti e tiro radiofonico, che gioca a essere mainstream senza però perdere un briciolo della potenza d’impatto.
Se si può concepire un disco metal e renderlo orecchiabile, Blackout ne è la matrice: un disco duro, dai rimi infuriati e dai riff assassini, che al contempo piace a tutti, anche a quelli non adusi ai suoni estremi, e che vende, vende benissimo, senza però compromettere la propria anima con artifici che ne smussino la propulsiva irruenza. Un disco squillante, incisivo e irresistibile, che affianca derapate fulminanti (la title track, "Now!", "Dynamite"), a oscuri scenari di sabbathiana memoria ("China White"), ballate virili dall’irresistibile piglio melodico (la leggendaria "No One Like You" e "You Give Me All I Need"), sfrontato airplay radiofonico ("Arizona") e romantica malinconia da cantare tutti insieme, accendino alla mano, nel cuore pulsante di un live act ("When The Smoke Is Going Down").
Una band rodatissima e in stato di grazia, dal motore cromato e ruggente, sostiene l’ugola d’oro di Klaus Meine che, nonostante i problemi alle corde vocali (nei cori gli dà una mano l’amico Don Dokken) sfoggia una performance di livello mostruoso per estensione e intensità interpretativa.
Il Blackout emotivo del titolo venne ispirato dalla suggestiva foto in copertina, autoritratto dell’artista Gottfried Helnwein in camice bianco, con benda in testa e forchette sugli occhi, mentre lancia un urlo e manda in frantumi un vetro. Ulteriore iconico elemento, questo, di un disco che rasenta la perfezione e che darà agli Scorpions fama imperitura, ribadita dal successivo Love At First Sting e poi, solo parzialmente offuscata da una seconda parte di carriera dalla creatività in affanno e dallo smalto molto meno lucido.