È con estremo piacere che torno al cinema georgiano, dopo diverso tempo devo ammettere, memore di quella magnifica scoperta che fu per me il What do we see when we look at the sky? di Alexandre Koberidze (qui la recensione).
Diciamo subito che questo Blackbird blackbird blackberry della regista nata a Tbilisi Elene Naveriani non raggiunge le vette di poesia toccate dal collega Koberidze, non gli si avvicina nemmeno, riesce comunque a proporre con pochissimi mezzi un cinema che si avvale di una visione personale e originale dell'atto del narrare, proponendo temi non troppo battuti e abusati e una sensibilità genuina e singolare dovuta probabilmente più al fatto che la regista è una giovane donna che non a quello di essere georgiana di nascita; in realtà sono diversi anni che la Naveriani vive e lavora in Svizzera.
Quello della Naveriani è un cinema che potremmo definire "festivaliero", rinnegando della definizione ogni attributo negativo che le si potrebbe accostare; un cinema "piccolo", fatto spesso di inquadrature fisse o poco mobili, lontano da virtuosismi, lussi scenografici, scene madri e grandi spiegamenti di forze. I film della regista, questo è il terzo suo lungometraggio, si sono fatti notare in festival come quello di Rotterdam, poi Locarno, infine Cannes, senza che la sua autrice sia arrivata ancora a essere un nome riconosciuto a livello internazionale presso il grande pubblico (per dirne una non vanta una pagina Wikipedia a lei dedicata in lingua italiana). Elene Naverani è riuscita però a suscitare l'interesse di molti addetti ai lavori e di buona parte del pubblico che ha potuto scoprirne il lavoro non solo grazie ai sopra citati festival ma soprattutto grazie alla distribuzione su piattaforma.
In un piccolo paesino della Georgia, non quella statunitense, Etero (Eka Chavleishvili) gestisce un piccolo negozio di prodotti per la casa. Etero è una donna sola e libera, non ha legami di sorta, non ha figli, si avvicina ormai alla cinquantina e sembra non aver mai avuto un uomo nella sua vita né rapporti con l'altro sesso. Le giornate di Etero trascorrono tra il lavoro al negozio, monotono piuttosto che no, e le passeggiate all'aria aperta durante le quali la donna va spesso a caccia delle sue amate more che crescono spontanee vicino al fiume del piccolo villaggio.
Di tanto in tanto Etero si incontra con le amiche, un gruppo di donne anche loro non più giovanissime che non perdono occasione di criticare lo stile di vita solitario (ma forse più sereno e felice) della loro compaesana, non risparmiandosi anche qualche sporadica cattiveria.
Nel passato della donna c'è un infanzia fatta di controllo e repressione da parte di due uomini possessivi, il padre e il fratello, segnata anche dalla prematura scomparsa della madre.
Una volta alla settimana Etero incontra Murman (Temiko Chichinadze), un uomo gentile che rifornisce il negozio con le sue consegne; in un momento di vicinanza, tra i due scatta una passione sentimentale che porterà Etero, a 48 anni suonati, a perdere la sua verginità e l'uomo ad aprirsi a un nuovo amore nonostante la sua famiglia lo aspetti a casa. Questa nuova relazione scombinerà un po' gli equilibri di un'esistenza che sembrava ormai dovesse viaggiare per sempre su binari noti e posati già da tempo.
La Naverani ci racconta una donna indipendente, libera, all'interno di una comunità che magari la denigra un poco, ma un poco pure la invidia. L'avvento dello streaming ci permette finalmente di poter godere di visioni femminili, delle idee di autrici, magari provenienti da altre latitudini come in questo caso, che con orgoglio non si conformano allo stile di narrazione più "mainstream" ma osano qualcosa di diverso e più genuino.
La scintilla di un sogno di un amore di mezza età è qui esplorata con una sincerità senza filtri che profuma d'onestà e noncuranza (di quel che possano pensare gli altri); senza mai uscire dal buon gusto la regista mette in campo una passione e un erotismo tra corpi in fase decadente (se decadente può definirsi un corpo che in maniera naturale invecchia) senza preoccuparsi dell'ostacolo del pudore né di quello del giudizio, offre corpi tozzi e pubi lanosi in un'epoca di intimità accuratamente rasate e culto dell'immagine.
In un film che potrebbe virare spedito verso la storia romantica, seppur non convenzionale, la protagonista invece mantiene dritta la barra e non rinuncia a un'indipendenza per lei assodata e che, all'età di ormai quasi mezzo secolo, si rivela essere irrinunciabile e non accantonabile nemmeno per una possibile storia d'amore, fosse pure la prima, l'unica e forse l'ultima di una vita che, come dice Murman, si avvicina al suo autunno.
Blackbird, blackbird, blackberry sembra un film fermo nei movimenti e nel tempo, impastato nei suoi colori e nei suoi ritmi di provincia, ci mostra una vita dove non si corre ma dove un risveglio è sempre possibile e la svolta può trovarsi davvero dietro l'angolo, cosa questa porti però non è dato sapersi.