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REVIEWSLE RECENSIONI
03/03/2020
We Sell The Dead
Black Sleep
Un disco ispirato, in bilico fra modernità e citazioni classiche, hard rock e metal, melodia e riff ossianici.

E’ inevitabile chiedersi, quando nasce un supergruppo, se ci si trova di fronte a un progetto solido, con vista sul futuro, o se invece, siamo al cospetto di un evento estemporaneo, una gita fuori porta fra amici, che hanno voglia di allontanarsi dalla casa madre e fare qualcosa di diverso, svincolati da obblighi di scuderia.

E’ quello che si erano domandati un po' tutti all’uscita di Heaven Doesn`t Want You and Hell Is Full, primo disco dei We Sell The Dead, band nata nel 2016 da un’idea di Niclas Engelin (In Flames/Engel) e Jonas Slättung (Drömriket), a cui si sono poi uniti Apollo Papathanasio, frontman dei Firewind e Spiritual Beggars, Gas Lipstick, il batterista presente nel primo album ed ex HIM (oggi, sostituito dal batterista degli Engel Oscar Nilsson), e Petter Olsson, alle tastiere. Dubbio legittimo che con l’uscita del sophomore Black Sleep, è stato definitivamente fugato.

Se il primo disco, per quanto positivo, palesava qualche incertezza sulla strada da prendere e qualche defaillance compositiva, il seguito è invece un lavoro solido e omogeneo, con un suono strutturato e idee chiarissime, che vanno nella direzione di un hard rock di derivazione seventies, rinvigorito dalla potenza di tiro di innesti di metal moderno e reso scintillante da un intrigante piglio melodico.

E’ inevitabile, poi, visto anche il nome della band e il titolo del disco (Black Sleep è con tutta evidenza una metafora che richiama la morte), che talvolta le atmosfere si facciano cupe e inquietanti, introducendo elementi di derivazione gotica; tuttavia, nel computo finale, emergono soprattutto l’energia debordante del suono e la capacità della band di creare ritornelli fulminanti.

L’apertura di Caravan, coi suoi inserti acustici classicheggianti, apre ad atmosfere ossianiche; tuttavia, a risaltare sono soprattutto la struttura progressive del brano, i cambi di tempo e il saliscendi fra riff tenebrosi e stasi meditativa. Decisamente più lineare e pompato il singolo Across The Water, con uno straordinario lavoro alle chitarre da parte di Engelin, ottimo brano per passaggi radiofonici. La title track è, invece, clamorosamente seventies, e ai più attenti non sfuggiranno molte assonanze con l’hard rock leggendario di band come Deep Purple o Rainbow.

Una tripletta iniziale davvero notevole, di quelle che invogliano a stare sul pezzo fino alla fine. Anche perché il disco non ha punti deboli: The Light, per dire, è una ballata che in molti farebbero carte false per avere nel proprio repertorio, Nightmare And Dream riesce a essere cupa e orecchiabile al contempo, con quel ritornello che è un attimo ritrovarsi a cantare a squarciagola, mentre il basso distortissimo di River In Your Blood introduce il brano più duro del lotto, con Engelin e la sua chitarra ancora sugli scudi.

Black Sleep è, dunque, un disco che vive in perfetto equilibrio fra modernità e citazioni classiche, e che trova la sua forza d’impatto in un mood ondivago di chiaro scuri, vista sull’abisso e melodie rilucenti. Un album, quindi, che possiede una precisa linea artistica, a dimostrazione che anche i supergruppi, con l’ispirazione giusta, sanno creare musica di altissimo livello.


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