Pressoché sconosciuto alle nostre latitudini, il songwriter texano Austin Meade ha alle spalle una militanza come batterista nella noise band dei johnboy e, dopo aver imparato a suonare la chitarra, ha dato vita a una carriera solista, che lo vede oggi pubblicare il suo sesto album in studio. In realtà, la vita di Meade aveva preso ben altro indirizzo, visto che famiglia l’aveva spinto a iscriversi all’università per seguire un corso di economia. Austin ha così conseguito una laurea, che lui stesso definisce come inutile, ma non ha mai mollato il suo sogno di diventare musicista a tutto tondo.
Cosa che, ad ascoltare questo nuovo Black Sheep, gli è riuscita molto bene. Siamo lontani dal suono tradizionale texano, e in tal senso Meade è un musicista che, pur conoscendo le radici, è uscito dalla comfort zone di quella musica masticata fin da ragazzino, per seguire la propria strada fatta di diverse influenze, che spaziano dal pop agli amati Black Sabbath.
Senza spingersi in territori metal, Meade riesce a bilanciare, in queste dodici splendide canzoni, un istintivo gusto per la melodia con la vibrante intensità di un approccio rockista. Ecco, allora, che alcuni ganci melodici dal sapore quasi radiofonico vengono scartavetrati dall’irruenza di chitarre sempre pronte a graffiare. Gli arrangiamenti semplici, non scarni ma decisamente asciutti, danno slancio a questi brani che filano diritti per la strada della ballata elettrica, vero filo conduttore dell’album.
Certo, l’inizio e la fine del disco sono schegge impazzite in un contesto decisamente più omogeneo: l’opener Dopamine Drop è un hard blues pestato e cattivo, retaggio del passato noise del songwriter, mentre l’inquieta title track chiude il disco con atmosfere cupe che deragliano in un ritornello percosso da feroci sportellate elettriche.
In mezzo, dicevamo, tante ballate in cui l’equilibrio fra elettricità e melodia è davvero inusuale. Dallo sfarfallio indie pop di Cave In all’innodica Happier Alone, messaggio di speranza in questi giorni bui, dalla volatile leggerezza di Settle Down alla più cupa riflessione di Deja Vù, brano che parla dei giorni del lockdown passati a fare sempre le stesse cose, Meade sfodera un songwriting calibrato e incisivo, che sfoggia con orgoglio un suono americano al 100%, pur riuscendo nell’intento di comunicare ad una fetta di pubblico più ampia. Merito di quelle chitarre, spesso sferraglianti, che trasformano melodie uncinanti in un personalissimo, e al contempo universale, abbecedario rock.