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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
29/05/2024
Live Report
Black Crowes, 27/05/2024, Teatro Arcimboldi, Milano
Lunedì sera al Teatro Arcimboldi i Black Crowes hanno messo in scena un concerto pressoché perfetto. Tra pezzi nuovi e grandi classici, il risultato è stato una masterclass di rock 'n' roll, a dimostrazione del fatto che la recente reunion poggia su solide basi artistiche.

L'ultima volta che erano passati da Milano, i Black Crowes lo avevano fatto nell'ottobre 2022, per festeggiare – con due anni di ritardo causa COVID – il trentesimo anniversario del loro primo album, Shake Your Money Maker. In quel caso, come ovvio, il disco di debutto della band di Atlanta l'aveva fatta da padrone, relegando i pochi classici (“Remedy”, “Thorn in My Pride” e “Wiser Time”) nella seconda parte della scaletta, come consolazione per i fan che magari non avevano mai visto prima d'ora i fratelli Robinson in azione. Alla fine del concerto, in molti si erano chiesti che indirizzo avrebbero dato i Black Crowes alla loro carriera: avrebbero registrato finalmente un disco nuovo, affrontando così il futuro, oppure avrebbero continuato a interpretare il ruolo delle vecchie glorie che vanno in tour soltanto per celebrare il proprio passato?

 

Un anno e mezzo dopo, la risposta è arrivata. Inaugurato solo qualche giorno dopo aver pubblicato il nuovo (ottimo) album con uno show al leggendario Grand Ole Opry di Nashville, il tour di Happiness Bastards lunedì è arrivato in Italia al Teatro Arcimboldi di Milano, ottava data della leg europea. Rispetto al concerto all'Alcaraz di due anni fa, la formazione della band di Atlanta è nel frattempo cambiata, dal momento che i fratelli Chris e Rich Robinson e il bassista Sven Pipien sono ora affiancati dal tastierista Erik Deutsch, il chitarrista Nico Bereciartua e il batterista Cully Symington, a cui si aggiungono le coriste Mackenzie Adams e Lesley Grant.

 

La band arriva puntuale sul palco alle nove e un quarto sulle note di “It's a Long Way to the Top (If You Wanna Rock 'n' Roll)” degli AC/DC, scelta azzeccata, visto che è dal 1984 che i Robinson Brothers calcano le assi di un palcoscenico (all'epoca con il monicker Mr. Crowe's Garden), per cui pochi hanno conosciuto meglio di loro tutti i sacrifici necessari per realizzare un sogno chiamato rock 'n' roll. Tra l'altro, più avanti nello show, Chris farà proprio riferimento agli alti e bassi che necessariamente si affrontano nel corso di una carriera, confessando che quel sogno, per un po' di anni si è rotto. Per fortuna, però, tutto si è risolto per il meglio e quella che abbiamo di fronte è una band in splendida forma, una macchina perfettamente rodata, che sa dosare con equilibrio energia, entusiasmo e un po' di sano mestiere.

 

Per far capire che non sono una band per nostalgici, i Black Crowes partono subito con due pezzi dal nuovo album, “Bedside Manners” e “Dirty Cold Sun”. I suoni non sono perfetti (la chitarra ritmica di Rich Robinson sovrasta quella solista Nico Bereciartua, la voce di Chris a tratti tocca la soglia della distorsione, mentre il basso di Sven Pipien è troppo alto nel mixer, a discapito delle tastiere di Erik Deutsch), ma il colpo d'occhio sul palco è davvero meraviglioso. La band si muove su uno stage sviluppato su due livelli (coriste, batteria e tastiere sopra, chitarre, basso e voce sotto), il tutto circondato da un muro imponente di testate e amplificatori vintage. Il sogno di ogni nerd delle sei e quattro corde, dal momento che praticamente a ogni canzone Rich, Nico e Sven cambiano i loro strumenti, che fanno bella mostra di sé nelle flying cases ai lati del palco. Sopra le teste degli otto musicisti c'è uno striscione con la scritta “Happiness Bastards”, da cui scende un insieme di drappi e luci che da un lato ricordano il mondo del circo e dall'altro rimandano a quei tendoni dove negli anni Cinquanta le band tenevano i loro spettacoli itineranti nelle zone rurali degli Stati Uniti del Sud. A sorvegliare il tutto, al lato del palco, un enorme cartonato raffigurante Chuck Berry, immortalato mentre esegue il suo celebre duck walk.

 

È bello vedere fin dalle prime battute i due fratelli Robinson così affiatati: si cercano, si guardano, si scambiano battute tra una canzone e l'altra, come dopo la seconda canzone, quando un ilare Rich ha fatto notare a Chris – che appena salito sul palco aveva esortato il pubblico ad alzarsi in piedi, dato che quello a cui stava assistendo era pur sempre un rock 'n' roll show – come fosse evidente che la security non avesse preso benissimo questa sua iniziativa. Chris bonariamente prende di mira due addetti e tutto di risolve in una fragorosa risata, anche se il mistero rimane sul perché i Black Cowes siano stati fatti suonare all'Arcimboldi, quando una venue come il Teatro Dal Verme sarebbe forse stata più adatta.

 

Tornando all'esibizione, con un'ottima “Twice as Hard” i georgiani danno il via a un interessante filotto di canzoni di repertorio che prosegue con “Gone” (da Amorica), passa per la sorprendente “Goodbye Daughters of the Revolution” (dal sottovalutato Warpaint) e si conclude con “Sister Luck”. In un'epoca dove le band suonano ogni sera le stesse canzoni e grazie a setlist.fm si ha la possibilità in tempo reale di sapere quale sarà il prossimo brano in scaletta – e il discorso vale anche per i Black Crowes, dal momento che un buon ¾ dello show è fisso – è sempre più difficile farsi stupire, ma l'accoglienza riservata a “Goodbye Daughters of the Revolution” è di quelle che fanno capire come la band abbia colto nel segno, proponendo a sorpresa la canzone giusta nel concerto giusto.

 

Con “Cross Your Fingers” i Black Crowes tornano a Happiness Bastards: a fine serata i pezzi dal disco nuovo saranno in totale cinque, a testimonianza del fatto che la band crede molto in questo suo ultimo lavoro – e per i presenti non si tratta della solita tassa da pagare in queste occasioni, dal momento che tutti i brani sono estremamente validi e si integrano alla perfezione nel repertorio del gruppo. Siamo quasi a metà concerto ed è tempo per Chris di dedicare la cover di Jerry Lewis “High School Confidential” ai Jim Jones All Stars, nuovo progetto rhythm and blues del musicista garage inglese Jim Jones (Thee Hypnotics, The Jim Jones Revue), il cui album di debutto, Ain't No Peril, è uscito a settembre.

 

La lunga e incandescente “Thorn in My Pride” è l'unico momento dove i Black Crowes tornano a fare la jam band come a metà anni Novanta. Il pezzo, tratto dal capolavoro The Southern Harmony and Musical Companion, permette ai vari membri della band di mettersi in mostra – sugli scudi ovviamente il chitarrista Nico Bereciartua – il tutto sotto gli occhi vigili di Rich Robisnon, che con piglio da direttore musicale, con uno sguardo orchestra i vari interventi solisti dei suoi compagni. Eccezion fatta per il fratello Chris, davvero incontenibile, che sul finale gigioneggia per una misura di troppo e Rich lo rimprovera con un sorriso. La nuova “Wanting and Waiting” riporta tutti al 2024, mentre il dittico composto dalla cover di Otis Redding “Hard to Handle” e la ballata “She Talks to Angels” – con un Rich Robison in stato di grazia alla chitarra acustica – rimarca una volta di più la grandezza di un disco come Shake Your Money Maker.

 

Si torna per un'ultima volta nel presente con “Follow the Moon”, prima del gran finale. “Sting Me”, “Jealous Again” e “Remedy” sono tre assi calati uno di seguito all'altro ed è un piacere osservare la band dopo quasi un'ora e mezza di concerto procedere ancora a tutta velocità. Chris è vocalmente in splendida forma e si muove come un forsennato, ancheggiando come un novello Mick Jagger, il fratello Rich e Nico Bereciartua si scambiano assoli e riff come fossero due giocatori di ping pong, Sven Pipien svetta con il suo basso rutilante, le tastiere di Erik Deutsch si inseriscono con discrezione nel tessuto musicale, mentre la batteria di Cully Symington detta i tempi con stile e precisione. Insomma, quella a cui stiamo assistendo è una vera e propria masterclass su come si dovrebbe suonare il rock 'n' roll – e poco importa se in questi quasi quattro decenni nei Black Crowes siano transitati decine di musicisti talentuosi ancora oggi rimpianti (Marc Ford, Steve Gorman, Luther Dickinson, Adam MacDougall, il compianto Eddie Harsch), la sua versione 2024 è una macchina da musica con pochi rivali sulla scena, a dimostrazione del fatto che la recente reunion poggia su solide basi artistiche.

 

Non sono sfumate le note di “Remedy” che la band torna sul palco per l'unico bis, “God's Got It”, un gospel blues del reverendo Charlie Jackson già inciso ai tempi di Warpaint. Quella di questa sera è una versione al fulmicotone, che chiude un concerto pressoché perfetto. È vero, magari sarebbe stato bello se i Black Crowes avessero scandagliato maggiormente la loro discografia, suonando magari un quarto d'ora in più e pescando qualcosa da dischi come Three Snakes and One Charm, By Your Side, Lions oppure Before the Frost/Until the Freeze (anche perché nelle serate precedenti qualche canzone era stata recuperata), oppure avessero suonato più pezzi da quello che forse è il loro vero capolavoro, Amorica. Ma va benissimo così, dopo un concerto di questo livello non si può non tornare a casa completamente soddisfati, con il desiderio di rivedere nuovamente i Black Crows il più presto possibile.