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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
18/09/2024
Live Report
Black Angels, 17/09/2024, Circolo Magnolia, Milano
I Black Angels sono finalmente tornati a suonare in Italia e lo fanno con una data al Circolo Magnolia, dove rivelano ancora una volta il loro segreto: un incredibile impatto dell’insieme, riff ipnotici e acidi e psichedelia intrisa in ogni brano.

I Black Angels sono finalmente tornati a suonare in Italia. Una lunga assenza, la loro, che si erano esibiti per l’ultima volta alla Latteria Molloy di Brescia nel giugno del 2017. Erano i tempi dello splendido Death Song, i tempi della band sono stati sempre abbastanza lunghi, la pandemia li ha allungati ancora di più, ragion per cui Wilderness of Mirrors è uscito solo nel 2022. Per il tour quello che si piazzò saldamente al primo posto nella mia personale classifica dei dischi di quell’anno, non avevamo ancora avuto una data italiana. Proprio per questo avevo deciso di andarli a vedere a Porto ma purtroppo, complice di un volo cancellato all’ultimo minuto, avevo dovuto desistere.

Quando ormai sembrava che per rivedere il quintetto texano avrei dovuto aspettare l’uscita di un altro album, ecco quello che non ti aspetti: una data a Milano, proprio all’inizio di un breve giro di date in compagnia dei Dandy Warhols. Ecco però il bello: ne ignoro il motivo (probabilmente sono arrivati nel nostro continente qualche giorno prima e All Things Live ne ha approfittato per farli suonare) ma al Circolo Magnolia questa sera ci sono solo loro, occasione privilegiata per vederli suonare un set più lungo di quello che probabilmente proporranno nei prossimi giorni. 

Per la venue di Segrate si tratta probabilmente dell’ultima data all’aperto: la temperatura è già quasi autunnale e sia il pubblico sia i musicisti sul palco sono costretti a coprirsi. L’affluenza non è quella delle grandi occasioni ma è comunque soddisfacente anche se, come spesso accade per nomi di questo tipo, non longeve ma comunque fautrici di una musica “datata”, di giovani se ne vedono ben pochi.

 

Inizio puntuale alle 21.15, coi diffusori che mandano “I Wanna be your Dog” degli Stooges, colonna sonora dell’entrata in scena di Alex Maas e soci.

Attacco potente e senza troppi preamboli col classico “Entrance Song” ed il concerto entra immediatamente nel vivo. Questa band dal vivo è una macchina da guerra, a partire dalla batterista Stephanie Bailey, implacabile motore ritmico di una marcia cadenzata e inarrestabile, che non conosce tregua. Molto bene anche la nuova bassista Misti Hamrick, che nei rari brani in cui era Maas a suonare lo strumento, si è occupata delle tastiere.

Il segreto della band sta però nell’incredibile impatto dell’insieme, nei riff ipnotici ed incredibilmente acidi, nella psichedelia della quale è intriso ogni brano, una scrittura derivativa, codificata nei modelli, ma sempre dannatamente efficace.

La scelta di Alex Maas di tenere la sua voce eccessivamente dentro al mix e la prestazione non eccezionale dello stesso, è stato forse l’unico difetto di un concerto altrimenti perfetto.

 

Anche la scaletta è stata interessante, visto che nelle quasi due ore a loro disposizione il gruppo non hanno solo sfoderato i soliti cavalli di battaglia (“Young Men Dead”, “The Sniper at the Gates of Heaven”, “Manipulation”, “Science Killer”) e i brani dell’ultimo disco (fantastica soprattutto “The River”, ma anche le varie “El Jardin”, “Empires Falling” e “Without a Trace” si sono rivelati quei brani di altissimo livello che già erano in studio), ma hanno anche ripescato qualche titolo meno conosciuto ed eseguito, come “Deer-Ree-Shee”, “Snake in the Grass” e “Yellow Elevator #2”, nonché alcuni brani finora mai incisi come “Molly Moves my Generation” e un paio di cose a quanto mi è sembrato del tutto inedite (che ci sia un nuovo disco in arrivo?).

Finale funestato da alcuni problemi tecnici alla chitarra di Christian Bland, che per un po’ non ne ha voluto sapere di funzionare, e che non si sono risolti neppure cambiando strumento; un inconveniente che ha costretto il gruppo prima ad esibirsi in una sorta di nenia spettrale semi improvvisata da Maas al mellotron, poi a cambiare leggermente l’assetto per gli ultimi brani, con Bland che è passato al basso e Hamrick che, di conseguenza, si è trasferita alle tastiere.

In questa veste, a chiudere il tutto è arrivata una potente versione di “Sister Ray”, classico di quei Velvet Underground che per la band texana sono un riferimento chiaro (basta solo vedere come hanno deciso di chiamarsi). Speriamo solo di non dover aspettare altri sette anni.