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REVIEWSLE RECENSIONI
Birthmarks
Bambara
2025  (Bella Union)
IL DISCO DELLA SETTIMANA POST-PUNK/NEW WAVE AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
9/10
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31/03/2025
Bambara
Birthmarks
Autori di storie americanissime su uno sfondo diversamente post-punk, i Bambara pubblicano il loro album più completo e maturo, confezionando dieci racconti maledetti in cui la sperimentazione di nuove sonorità accompagna la consueta potenza narrativa.

Dreamviolence, Swarm, Shadow on Everything, Stray, Love On My Mind e ora Birthmarks. Immaginateli come una collana di libri, raccolte di racconti esposte sullo scaffale nella sezione southern gothic della biblioteca, e voi che avvicinate il viso e inclinate il collo verso destra per leggere il titolo in verticale da vicino, finché con il dito scostate il volume che più vi intriga per trovare conferma delle trame promesse scoprendo, con prudente accortezza, l’illustrazione di copertina. Oppure pensateli come episodi di una nuova stagione di True Detective, ambientata questa volta in Georgia, profondo sud tanto quanto la prima - riuscitissima - in Louisiana.  

Dai primi rumorosissimi album all’ultima uscita, tra tutte quella più squisitamente accogliente, i Bambara hanno dato sempre prova di saper coinvolgere il pubblico con la loro scrittura. Veri e propri concept narrativi da fuoriclasse dell’arte del raccontare, trame degne di penne maledette come Harry Crews, short story tra il noir e il grottesco imbevute di tutta la disperazione che pervade la vita nei sobborghi urbani e non degli stati del sud.

Inquietanti vicende notturne o ambientate in bui e ambigui locali da karaoke, palcoscenico di quel tipico underground umano che esiste solo laggiù, pick up parcheggiati fuori e stivali di pitone che si muovono intorno al biliardo e attraverso storie in cui non si vede la luce del sole se non da sopravvissuti all’alba o in uno di quei risvegli soffocati nel migliore dei casi dal tormento, nel peggiore dal vomito, in pieno hangover. Anti-eroi che, visti da qui, ci fanno lo stesso effetto dell’epica studiata a scuola, una mitologia della deprivazione a stelle e strisce che noi non possiamo nemmeno lontanamente immaginare, soprattutto ora che c’è pure Trump. 

 

In Birthmarks lo stile dei Bambara si fa ancora più perfetto scenario ai protagonisti dell’immaginario di Reid Bateh, il cantante-chitarrista che condivide con il gemello Blaze alla batteria e il bassista William Brookshire una delle case di produzione di fiction musicale più convincenti al mondo. Lasciata Atlanta per Brooklyn, la componente noise del loro post-punk si arricchisce di una strumentazione di certo meno ortodossa per il solo clima del sud. Nell’ultimo lavoro la band si avvale di qualche add-on elettronico, linee di synth bass, strumenti a fiato e a corda e persino voci femminili, innesti de-strutturati ma perfettamente riusciti che conferiscono atmosfera e valore alla portata descrittiva delle loro composizioni, e rinuncia quasi in toto all’effetto vibrato e alle mandate di riverbero sulla chitarra elettrica, fino a Stray un loro americanissimo marchio di fabbrica, il tutto senza sacrificare l’essenza del progetto.

Merito anche della co-produzione di Graham Sutton dei Bark Psychosis, qui il risultato è un sound ancora più torbido, accresciuto da venature diversamente cupe che non sfigurerebbero nei passaggi più dark dei Massive Attack, un morso letale che aumenta il rischio per l’ascoltatore di soccombere per avvelenamento. Un apporto decisivo in grado di arricchire l’estro compositivo della band, uno sguardo degno di un direttore della fotografia in una ripresa in grandangolo pensata per espandere il respiro dei brani e lasciare spazio a un approccio ritmico meno radicale e intransigente rispetto ai dischi precedenti. La stessa voce, conturbante e macabra, alterna l’incedere da commento fuori campo a ruolo da crooner protagonista con seducenti impennate melodiche, a confermare la vocazione da capolavoro di un disco dichiaratamente ambizioso. 

 

"Hiss", calzante traccia di apertura, condensa in quello che sembra il trailer dell’album una toccata e fuga tra sconosciuti in una camera di un motel, tra squallore della frutta di plastica e tenerezze fuori luogo ma dal finale incerto. Le ultime volontà della successiva “Letters from Sing Sing” potrebbero esserne il logico prosieguo, lo stesso uomo che confessa il delitto ed è rinchiuso in attesa della scarica fatale. Una violenza anche nella forma che si stempera in “Face of Love”, in cui il pathos si concentra tutto nel racconto di una fuga - i camion, le strade e le aree di sosta delle pianure americane le conosciamo bene - troppo lenta per far mangiare la polvere ai rimorsi.

“Pray to Me” e “Holy Bones” sono ennesimi titoli evocativi di altrettante storie maledette rese con le trame sonore e gli espedienti strumentali che hanno reso lo stile dei Bambara inconfondibile. Nel disco trova spazio anche il racconto di un sogno, "Elena's Dream", dalla voce sussurrante di Madeline Johnston a.k.a. Midwife, qui accompagnato da una base onirica e adeguatamente surreale. Timbriche che cambiano di poco nella struggente “Because You Asked”, una lunga ed esplicita risposta a una richiesta di spiegazioni che, forse, alla fine sarebbe stato meglio non sapere. Il registro industrial di "Dive Shrine" crea una efficace separazione dal resto e fa da preludio alle due tracce conclusive, la mesta “Smoke” e la veloce “Loretta”, la prova che quando si parla di figure femminili, proprio come per la hit “Serafina” di Stray, i BPM necessariamente si impennano.

 

Con Birthmarks i Bambara si confermano una band senza confronti, veri maestri di sperimentazione musicale a corollario di capolavori narrativi. Uno stile allo stesso tempo crudele e rassicurante, potente e suggestivo che, grazie al suo mix di post-punk e americana - quella meno accomodante, quella dello Springsteen di Nebraska o di Leonard Cohen o dell’ultimo Johnny Cash - si distingue per modernità e indubbia originalità.