Probabilmente l’altra sera a Milano si è chiuso un ciclo. Il 22 febbraio 2020 i Big Thief avrebbero dovuto suonare al Magnolia ma in tarda mattinata, dopo che il giorno prima avevano tenuto regolarmente il concerto di Bologna, sono iniziate ad arrivare notizie sempre più preoccupanti riguardo la diffusione del Coronavirus in Lombardia e hanno deciso (in totale autonomia, nessuna direttiva era ancora arrivata a livello centrale) di cancellare il concerto. Inutile ripercorrere quel che è successo da lì in avanti, è ancora fin troppo impresso nella nostra memoria. Resta il fatto curioso che, almeno nella mia testa, il nome Big Thief sarebbe sempre stato associato all’inizio della pandemia e, in questo specifico aspetto, a tutti i concerti che sarebbero stati annullati nei mesi e negli anni seguenti.
Questa volta ci siamo ed è anche per questi motivi che il ritorno a Milano di Adrianne Lenker e compagni assume un valore speciale, seppur nella consapevolezza che si tratti solo di simboli.
Di acqua sotto i ponti in questi tre anni ne è passata parecchia: prima è arrivato Songs, ennesimo capitolo della parallela carriera solista della Lenker, poi il mastodontico Dragon New Warm Mountain I Believe in You, che con le sue venti canzoni e il suo variegato spettro stilistico rappresenta in questo momento il vero capolavoro della band di Brooklyn. Un disco che, anche dal punto di vista dei consensi, ha rappresentato un po’ il ruolo di spartiacque: se già i “gemelli” U.F.O.F e Two Hands avevano avuto il merito di accendere qualche riflettore in più sul collettivo, quest’ultimo lavoro li ha proiettati in una dimensione al confine col mainstream, col loro nome sempre più citato, anche e soprattutto in ambienti estranei alla musica specializzata.
Tutto questo, si badi bene, senza che il loro stile si facesse in alcun modo più accomodante: il nuovo album contiene senza dubbio alcune potenziali hit ed episodi di facile presa, ma nel complesso i Big Thief sono rimasti fedeli a se stessi e non si sono certo trasformati nei Mumford and Sons.
Un rapido colpo d’occhio al pubblico presente questa sera, tuttavia, farebbe pensare il contrario: l’Alcatraz è bello pieno (niente sold out ma l’affluenza è senza dubbio considerevole) e si segnala la presenza di tanti ragazzi giovani, molti della stessa età che oggi ti aspetteresti di trovare ai concerti di Lazza e Madame. Bene così, verrebbe da dire, il ricambio generazionale è fondamentale soprattutto per le band americane, date le continue difficoltà economiche e logistiche ad intraprendere tour nel vecchio continente.
Arrivo sul posto troppo tardi per vedere il set di Lutalo in apertura (o forse è lui che ha iniziato troppo presto, vedete voi), anche se mi dicono che si sia comportato in maniera soddisfacente, canzoni acustiche gradevoli ma senza troppe pretese (se vi va, potete comunque cercare Once Now, Then Again, l’EP uscito lo scorso giugno; pochi giorni fa invece è stato pubblicato il singolo “Familiar Face”).
I Big Thief salgono sul palco poco dopo le 21, senza neppure attendere che si spengano le luci. L’attacco di “Shark Smile” è di quelli che non ti aspetti e mette da subito lo show sul piede giusto: energica, diretta, per certi versi solare, costituisce la declinazione migliore dell’Alt Folk di Adrianne Lenker ed è anche un ottimo biglietto da visita per la band che la esegue, decisamente in palla e ben amalgamata, nonostante la resa sonora non proprio ottimale (all’Alcatraz purtroppo è spesso così).
Le successive “Shoulders” e “Masterpiece” sono altre due notevolissime bordate e danno l’impressione che il gruppo questa sera voglia puntare su una sorta di ideale best of per entusiasmare ancora di più il pubblico.
Quando arriva “Contact”, tuttavia, la domanda sorge spontanea: ma questi qui una canzone brutta la scrivono, ogni tanto? Non che non lo sapessimo, ma rivedendoli dal vivo (per me è la prima volta dopo quattro anni e ne sentivo davvero la mancanza) la sensazione che Adrianne Lenker sia una songwriter fuori dal comune è nettissima: mai sopra le righe, mai eccessivamente ricercata, pur mantenendosi all’interno di binari tutto sommato classici, possiede il dono di tramutare in oro tutto quel che tocca, di rendere speciale ogni singola progressione di accordi.
Per non parlare poi del modo in cui esegue i brani dal vivo: totalmente in the zone, tesa e concentrata come se non esistesse altro, voce fragile e potente al tempo stesso, timbro a tratti sgraziato e intensità di interpretazione che racchiude in sé un’intera esistenza. Basta poco per accorgersi che questa ragazza ha una marcia in più, che, senza nulla togliere agli altri tre, i Big Thief sono soprattutto lei e che se stanno avendo così tanto successo nonostante una proposta tutto sommato tradizionale, è perché sono guidati da un’artista come ce ne sono davvero pochi in giro.
Tutta la band comunque viaggia a meraviglia. La sezione ritmica è in gran spolvero, con Max Oleartchik e James Krivchenia sempre molto dinamici, pur senza fare chissà cosa, e le due chitarre, quelle di Buck Meek e della stessa Lenker, a dialogare costantemente in grande sintonia. A ben guardare, è la cantante a sostenere il peso maggiore, perché molte delle parti soliste sono sue e perché le parti di Meek sono spesso più semplici e minimali (spesso, nelle strofe, si limita a pochi accordi) e raramente sale in cattedra. Insieme danno comunque il meglio ed i momenti più emozionanti sono quando spingono sull’acceleratore e pigiano sui pedali degli effetti aumentando la quota elettrica dello show (in generale c’è comunque da dire che dal vivo sono molto più aggressivi e rumorosi che in studio). Anche per questo, tra i momenti migliori vanno segnalati la rilettura di “Dragon New Warm Mountain I Believe in You”, decisamente più robusta dell’originale, e una strepitosa “Not”, impreziosita nel finale da un affascinante e rumoroso duello tra le due chitarre.
Il pubblico ha mostrato di gradire soprattutto i singoli del nuovo disco come “Change” (esecuzione molto toccante) e “Simulation Swarm”, ritmicamente dinamica, molto coinvolgente, ma da segnalare ci sono anche il Folk sghembo e vagamente psichedelico di “Dried Roses” e quello ben più tradizionale di “Cattails”, quest’ultima indubbiamente tra i brani simbolo del quartetto.
Non sono mancate le anticipazioni di nuovi brani, come da consuetudine di tutto il tour, segno tangibile di una band che vive di un continuo work in progress e che ama testare le cose che compone davanti al proprio pubblico. Non a caso Adrianne annuncia “Vampire Empire” spiegando divertita che l’hanno provata poco prima nel backstage (in realtà è un pezzo che stanno già suonando da qualche data ma evidentemente non si sentono ancora del tutto sicuri): per quello che può valere il primo ascolto, si tratta di un brano dalle incredibili potenzialità, di grande impatto e con linee vocali di facile presa, serio candidato a divenire uno degli episodi più importanti del loro repertorio.
Poco prima era arrivata “Already Lost”, eseguita dalla sola Lenker con la chitarra acustica, anche questa molto suggestiva. Autentica hit annunciata è invece “Born for Loving You”, pezzo che è un compendio di musica americana, da The Band al Country più tradizionale, con un andamento muscolare che sembra fare il verso allo Springsteen più classico.
È il preludio ad una “Spud Infinity” che già da qualche minuto veniva invocata a gran voce dal pubblico e che viene eseguita in versione leggermente più accelerata, con l’aiuto di Noah Lenker, fratello minore di Adrianne, che da diverso tempo segue la band in tour.
A quel punto il gruppo saluta e se ne va, parte la musica dai diffusori e in sala riecheggiano immediatamente fischi e boati di disapprovazione. È strano, perché l’orario d’inizio anticipato avrebbe fatto credere ad un coprifuoco imposto dal locale a causa di un qualche evento post serata, ma oggi non è in programma nulla. Ad ogni modo i nostri devono aver capito che non avrebbero potuto congedarsi così: musica immediatamente spenta e ritorno on stage per una “Certainty” forse un po’ troppo sbrigativa, per poi chiudere tutto con “Happy With You”, un’altra nuova canzone, anche questa molto diretta e convincente.
Era il concerto più atteso dell’anno e si è rivelato il concerto dell’anno, almeno per ora; oltretutto con l’impressione che ancora non si sia visto nulla e che quel che succederà in futuro in casa Big Thief sarà davvero oltre le aspettative.